FLC CGIL Bergamo e CUB, in collaborazione con ADI Bergamo, collettivo LeP, UNI+ e le RSU del personale tecnico-amministrativo, in occasione della visita della ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini all’Università degli Studi di Bergamo, hanno indetto un’assemblea per tutti i lavoratori dell’ateneo orobico per oggi, 20 maggio 2025, in concomitanza con l’evento in cui prevedeva la presenza della ministra (che invece, non si è presentata). Durante l’assemblea è stata distribuito un documento che rappresenta la situazione generale in cui imperversano gli atenei d’Italia ed in particolare quella di Bergamo. Le associazioni organizzatrici dell’assemblea, intendono richiamare l’attenzione pubblica sulla condizione critica in cui versa l’università pubblica italiana.
Negli ultimi anni, il Fondo di finanziamento ordinario (FFO) – pilastro del finanziamento degli atenei – è stato progressivamente ridotto. È previsto un taglio di oltre 700 milioni di euro entro il 2027. Queste scelte compromettono gravemente la capacità delle università di garantire qualità nella didattica, continuità nella ricerca, stabilità occupazionale e servizi essenziali per studenti, studentesse, lavoratori e lavoratrici.
Nel 2024, l’università di Bergamo ha subito una riduzione del FFO pari al 6% rispetto all’anno precedente. Considerando il peso centrale di questo fondo rispetto ad altri canali di finanziamento, non si tratta di una diminuzione trascurabile. A ciò si aggiunge una gestione di bilancio fortemente orientata al saldo positivo e alla riduzione delle spese, che sta producendo gravi conseguenze:
- carenze significative di personale;
- blocchi nelle progressioni di carriera;
- carichi di lavoro insostenibili;
- diffusione della precarietà;
- congelamento delle retribuzioni;
- assenza di politiche di valorizzazione professionale.
Queste criticità colpiscono tutte le componenti universitarie: studenti, dottorandi, assegnisti, ricercatori, tecnici, amministrativi, bibliotecari e personale esternalizzato.
Alla crisi strutturale si somma la proposta della ministra Bernini di riformare il pre-ruolo universitario, che rischia di istituzionalizzare ulteriormente la precarietà introducendo nuove figure contrattuali frammentate e instabili, come i “professori aggiunti” e le borse di ricerca junior e senior.
Attualmente oltre 35.000 ricercatori lavorano con contratti a tempo determinato, spesso sottopagati e senza prospettive di stabilizzazione. La precarietà è diventata sistemica: negli ultimi 15 anni la percentuale di lavoratori precari nelle università è salita dal 20% al 42%.
La riforma Draghi (Legge 79/2022) ha introdotto i nuovi contratti di ricerca, con maggiori tutele, ma questi sono rimasti largamente inapplicati per l’assenza di finanziamenti strutturali. I fondi attuali, inclusi quelli del PNRR, coprono solo pochi contratti per ateneo.
A Bergamo, il personale precario (esclusi i dottorandi) è pari a 326 unità, contro 387 strutturati (professori ordinari, associati e ricercatori a tempo indeterminato). Il personale precario rappresenta il 45,7% del totale, con un rapporto di circa 0,84 precari ogni strutturato.
Rispetto ad atenei italiani simili per numero di studenti, l’Università di Bergamo presenta un rapporto lavoratori/studenti fortemente deficitario:
- 37 studenti per ogni docente (media italiana: 29 a 1);
- 58 studenti per ogni dipendente tecnico-amministrativo (media italiana: 29 a 1).
Si tratta di una situazione più grave rispetto alla già critica media nazionale.
La riforma proposta dalla ministra Bernini non è una risposta credibile né sostenibile: aumenta la precarietà, disarticola ulteriormente il sistema universitario e allontana giovani ricercatori e ricercatrici da percorsi di carriera stabili e dignitosi.
Per questo chiediamo:
- un aumento strutturale e stabile del finanziamento pubblico alle università;
- un piano nazionale di stabilizzazione del personale precario, sia accademico che tecnico-amministrativo;
- il blocco dell’introduzione di nuove figure contrattuali precarie;
- una riforma realmente partecipata, costruita insieme a tutte le componenti della comunità accademica, e non imposta da gruppi ristretti scelti dall’alto.
La ricerca è un lavoro. L’università è un bene comune.
Continueremo a mobilitarci, proporre e difendere un’idea di università pubblica, promotrice di pace, equa, stabile, accessibile e di qualità per tutte e tutti.