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Sanità pubblica sempre più in crisi: meno infermieri, stipendi più bassi, e Bergamo non fa eccezione. I dati Gimbe confermano le ragioni della mobilitazione CGIL

Il personale infermieristico in Italia è sempre più scarso numericamente, sottopagato e invecchiato. A dirlo non è solo la nostra esperienza quotidiana nei reparti, ma anche i dati della Fondazione Gimbe sulla professione infermieristica, presentati al 3° Congresso Nazionale FNOPI di Rimini, che fotografano un quadro allarmante: in Italia ci sono solo 6,5 infermieri ogni 1.000 abitanti, a fronte di una media europea di 9. Peggio di noi, in Europa, solo Spagna, Polonia, Ungheria, Lettonia e Grecia. I salari restano tra i più bassi del continente, inferiori di quasi 10.000 dollari rispetto alla media OCSE. E il numero di chi abbandona la professione cresce: oltre 10.000 cancellazioni all’anno dall’albo, 42.000 negli ultimi quattro anni.

Un’emergenza strutturale che rischia di diventare cronica, aggravata da politiche sbagliate che impediscono di fatto il ricambio generazionale. I dati fotografano un sistema pubblico in affanno, mentre il privato si fa largo lì dove lo Stato arretra.

“La nostra provincia non fa eccezione – commenta Giorgio Locatelli, segretario della FP CGIL Bergamo –. Le Asst, nei loro piani triennali dei fabbisogni, chiedono le assunzioni necessarie a garantire i servizi, ma Regione Lombardia ne autorizza meno della metà. Così diventa impossibile ridurre le liste d’attesa o sostituire il personale che lascia. È una situazione insostenibile per il personale e per i cittadini, che non si risolve certo con l’ipotesi di rinnovo contrattuale proposta dal governo: una proposta priva di risposte economiche e normative all’altezza della situazione. Non si assumono nuove professionalità, non si investe sul miglioramento delle condizioni di lavoro, non si offrono strumenti per valorizzare le competenze”.

“La FP CGIL ha scelto di non firmare questo contratto perché non offre alcuna prospettiva reale a chi lavora nella sanità pubblica – continua Locatelli –. Questi dati non fanno che rafforzare le nostre ragioni: servono investimenti strutturali, nuove assunzioni, valorizzazione delle professioni e risposte certe su retribuzioni e diritti. La vertenza resta aperta, come il nostro impegno per difendere un Servizio sanitario nazionale pubblico, universale e accessibile”.

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