Il maxiemendamento del Governo alla Legge di Bilancio 2026 introduce una stretta sul riscatto di laurea, riducendone progressivamente il valore ai fini del diritto alla pensione anticipata. Una misura che colpisce lavoratrici e lavoratori che hanno investito sugli studi e versato contributi reali, spesso a costi elevati, nella convinzione di avvicinare il traguardo della pensione.
Dal 2031, i periodi riscattati perderanno sei mesi di efficacia ogni anno, fino a una riduzione complessiva di due anni e mezzo nel 2035. In concreto, dal 2035 il riscatto di una laurea triennale varrà solo sei mesi, nonostante il pagamento di tre anni di contributi.
«È una misura profondamente ingiusta – afferma Emmanuele Comi, direttore del Patronato INCA CGIL di Bergamo – perché cambia le regole in corsa. Parliamo di persone che hanno pagato contributi veri, spesso anche più di 15 mila euro, con l’obiettivo di tutelare il proprio futuro previdenziale. Oggi scoprono che quegli anni di studio, pur pagati, varranno sempre meno».
La penalizzazione riguarda un’intera generazione: chi ha conseguito una laurea triennale perché, dopo la riforma universitaria del 2001/2002, non aveva alternative, e chi ha interrotto l’attività lavorativa per studiare, riscattando successivamente quegli anni. Inoltre, la misura non si applica solo ai riscatti futuri, ma anche a quelli già effettuati o ancora in corso di pagamento.
«Al Patronato INCA – prosegue Comi – abbiamo registrato un forte aumento delle domande di riscatto di laurea proprio perché le carriere lavorative sono sempre più discontinue. Dal 2019 ne abbiamo presentate 755, contro le 182 dei sette anni precedenti. Penalizzare retroattivamente questi lavoratori significa colpire chi ha cercato di difendersi in un sistema sempre più incerto».
Accanto alla stretta sul riscatto di laurea, la manovra prevede anche un ulteriore allungamento dei tempi di accesso alla pensione anticipata. A partire dal 2032, il periodo di attesa tra il raggiungimento dei requisiti e l’erogazione della pensione aumenterà progressivamente, fino a passare dagli attuali tre mesi a sei mesi nel 2034.
«Siamo di fronte a una manovra che peggiora ulteriormente i requisiti di accesso alle pensioni – dichiara Marco Toscano, segretario generale della CGIL di Bergamo –. Si promette di superare la Legge Fornero, ma nei fatti si continua ad allungare la vita lavorativa e a restringere l’accesso alla pensione, rinviando gli effetti più pesanti nel tempo».
Nel complesso, il maxiemendamento conferma una direzione chiara. «Altro che superamento della Fornero – conclude Toscano –. Questo Governo sta peggiorando il sistema previdenziale, rendendo il diritto alla pensione sempre più lontano e incerto, soprattutto per le generazioni più giovani».