Le origini
“Nella sua fase iniziale il sindacato di tutti i paesi europei si articola in raggruppamenti locali orizzontali e in aggregazioni professionali verticali [… ]. Nel nostro paese le Camere del lavoro non rappresentano un momento “localistico”, iniziale e provvisorio nella costruzione del sindacato nazionale. L’intreccio tra la dimensione orizzontale unificante e i distinti raggruppamenti professionali caratterizza in modo permanente la struttura complessiva del sindacato sin dalle origini e lungo tutto il tracciato della sua mutevole evoluzione storica. Il caso italiano non manifesta una mera variante delle strutture organizzative del sindacato ma una qualità diversa e originale del sindacalismo che si può riassumere nella sua natura confederale”. Così Pino Ferraris (1) definisce i lineamenti originari delle Camere del lavoro italiane, che valgono anche per quella di Bergamo, costituita a Bergamo il 21 aprile del 1901 con sede provvisoria nei locali della Società di Mutuo Soccorso in via Zambonate.
Il comitato promotore è composto dai rappresentanti della Federazione del libro, Federazione dei litografi, Federazione muraria, della Società lavoranti fornai, Società di miglioramento fra i metallurgici, fra i falegnami, fra i marmisti e affini, della Cooperativa muraria e della Cooperativa lavoranti in ceppo di Brembate.
Il primo segretario è Teodoro Monicelli, eletto nel 1902. In quell’anno viene pubblicato anche lo Statuto che riconosce alla Camera del lavoro lo scopo "di servire d'intermediario fra l'offerta e la domanda del lavoro, di patrocinare gli interessi dei lavoratori salariati in tutte le contingenze della vita, e ciò con i seguenti mezzi:
- mettendo a contatto e in permanente rapporto fra loro tutti i lavoratori salariati per educarli praticamente alla fratellanza, alla solidarietà e al mutuo appoggio;
- organizzando un servizio d'informazione sulle condizioni del mercato del lavoro (ricorrendo ai Comuni, alle Camere di Commercio, alle Camere di lavoro nazionali ed estere) per indicare i paesi nei quali la mano d'opera sia richiesta e più retribuita;
- stabilendo le condizioni del lavoro; promovendo leggi efficaci sul lavoro delle donne e dei bambini; curando la stretta applicazione delle leggi sociali, e cercando che le leggi stesse rispondano allo scopo che il lavoro sia contemperato alle esigenze dell'igiene; difendendo il lavoro della donna in modo tale che, a parità di produzione, sia retribuita in egual misura dell'uomo. Studiando, infine, tutti quei mezzi che valgano ad elevare le condizioni economiche, il carattere intellettuale, morale e tecnico dei lavoratori salariati.”
La vita della Camera del lavoro di Bergamo fino all'avvento del fascismo, che ne decreterà lo scioglimento forzato, non sarà mai facile: travolta dallo scontro tra riformisti e rivoluzionari (2) conosce un lungo periodo d'inattività dal 1904 al 1914, nonostante i ripetuti tentativi per rimetterla in azione e lo sforzo di numerosi sindacalisti per organizzare comunque le lotte dei lavoratori bergamaschi e in considerazione della forza sempre maggiore delle organizzazioni sociali cattoliche, che nella nostra provincia ebbero un ruolo decisivo nei conflitti sociali, fin dalla nascita della cosiddetta “questione sociale”. Il 31 gennaio 1915, alla prima iniziativa pubblica della ricostituita Camera del lavoro, un comizio “contro il rincaro del pane e l’abolizione del riposo notturno e settimanale dei panettieri”, assistono circa 4.000 persone. Il congresso della Camera del lavoro di Bergamo e provincia che si tiene in città il 13 febbraio 1921 si conclude con l'elezione della Commissione esecutiva, frutto dell'accordo tra socialisti unitari, comunisti, riformisti e anarchici. Ma la situazione politica in Italia sta per mutare e già il corteo che sfila il 1° Maggio per le vie cittadine viene preso di mira dai fascisti, che sparano sui lavoratori; l’anno successivo la Festa del lavoro si svolgerà sotto il diretto controllo delle squadre di Mussolini. Il 15 gennaio 1923 la sezione della Fiom di Lovere viene assalita dai fascisti, che picchiano i dirigenti sindacali presenti e distruggono l’archivio. Un gesto non isolato ma simbolico del lungo periodo di clandestinità che inizia con la dittatura, in cui però i fili tessuti in questi anni, pur controversi e intricati, non si interromperanno: molti dei nomi dei primi organizzatori sindacali si ritroveranno tra quelli dei partigiani combattenti e degli antifascisti militanti.
La vita sindacale riprende in maniera significativa in occasione degli scioperi del marzo 1944, almeno da parte di alcune tra le realtà operaie più importanti, la Dalmine (2.000 scioperanti), la Caproni di Ponte San Pietro (3.000), il Canapificio di Fara d'Adda (2.500). Incrociano le braccia anche i dipendenti degli uffici commerciali e di numerose banche. I dati tra parentesi sono quelli forniti dal Partito comunista italiano che calcola in circa 7.500 il numero dei partecipanti alle agitazioni. Alle fabbriche citate va aggiunta almeno l'Ilva di Lovere, nella quale, in concomitanza con lo sciopero, viene tentato un sabotaggio agli impianti. Non ci sono conservate tracce di dibattito sull'esito di quegli scioperi - che non assunsero certamente il rilievo di altre città del Nord Italia - ma certamente, a partire da questo momento, si verifica anche un nuovo impulso organizzativo dei gruppi di azione sindacale.
Nella sua Relazione (databile tra il giugno e il luglio 1944), Emilio (Sergio Marturano, uno dei responsabili della federazione del Pci di Bergamo) sulla situazione delle fabbriche della città e della provincia, scrive che “Le condizioni di vita dei lavoratori sono, specie in città, peggiori che altrove e vanno progressivamente peggiorando perché all'accrescersi dei prezzi dei principali generi alimentari non fa riscontro nessun miglioramento salariale.”
La ripresa dopo la Liberazione
La storia sindacale bergamasca degli anni che vanno dalla ricostruzione all’autunno caldo non può prescindere da alcuni dei punti indicati da Ferruccio Ricciardi nel suo studio sulla Fiom locale (3), in particolare:
“1. L’anomalia di una Camera del lavoro dominata, in origine, dalla corrente cattolica e in seguito condizionata dall’antagonismo conflittuale tra socialisti e comunisti, con l’effetto, tra i tanti, di incanalare l’attività sindacale su linee improntate alla moderazione rivendicativa e all’uso ponderato del conflitto […]
2. L’influenza delle organizzazioni ecclesiastiche di base e, in generale, della cultura cattolica nei confronti del mondo del lavoro provinciale che si concretizzò, subito dopo la scissione del 1948, nell’attivazione di una sindacato ‘antagonista’ radicato specialmente in alcuni strati sociali e professionali (tessili, agrari, donne), beneficiario di una vasta rete di solidarietà e appoggi non solo di natura politica e, per certi versi, dotato di un buon dinamismo nell’ambito dell’iniziativa sia rivendicativa che negoziale […]
6. L’applicazione di una struttura del salario in genere calibrata sui livelli più bassi che, da un lato, incentivava fenomeni quali l’emigrazione e il largo ricorso al lavoro straordinario e, dall’altro, dava luogo a una dinamica contrattuale più mossa a livello aziendale, tale da mettere periodicamente in discussione la prassi del centralismo contrattuale”.
La Camera del lavoro di Bergamo riprende a lavorare già nei giorni dell'insurrezione e dopo lo sciopero generale decretato dal Comitato di agitazione sindacale il 27 aprile, organizza il Primo Maggio 1945, festeggiando con la riconquista della libertà la giornata dei lavoratori, soppressa dal regime e rivendicando contemporaneamente l'urgente necessità di riprendere le lotte a difesa dei diritti dei lavoratori. Ma, come scrive Maria Grazia Meriggi, “i ben noti problemi e ben note difficoltà di mettere in connessione la ricostruzione del sindacato alla periferia, con la trasformazione del Cln aziendali in veri organismi rivendicativa aderenti all’organizzazione del lavoro e l’altrettanto importante, ma non sempre coerente, ricostruzione di una direziona nazionale confederale, sono evidentissimi anche a Bergamo (4)”. L’organizzazione sindacale unitaria si trova a dover gestire una situazione estremamente critica. “Una delle rivendicazioni che le masse sentono molto è la questione salariale, perché con le paghe attuali, e coi prezzi dei viveri, e con le molte insufficienti distribuzioni di generi tesserati la classe lavoratrice soffre la fame”: così nella Relazione sull’attività svolta dal Comitato di agitazione sindacale dell’aprile del 1945.
Le difficoltà della ripresa economica – comuni a tutto il Paese – sono acuite nella nostra provincia dai problemi salariali determinati anche dall’attribuzione della terza zona di perequazione salariale, così che la contingenza di un lavoratore bergamasco è inferiore a quella di un lavoratore milanese, nonostante il costo della vita a Bergamo sia decisamente più alto che a Milano; “il basso tenore di vita delle masse popolari” continua anche negli anni successivi. Nella Relazione inviata dalla Camera del lavoro di Bergamo alla Delegazione di Bergamo della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulle condizioni dei lavoratori italiani il 24 luglio 1956, così si legge: “Da un punto di vista salariale la provincia di Bergamo, per quanto riguarda l’industria, può essere divisa in tre gruppi: a)fabbriche che applicano i minimi contrattuali; b) fabbriche che – pur appartenendo al settore industriale ai fini dei contributi assicurativi – fanno riferimento per le retribuzioni all’accordo (da anni disdettato) dell’artigianato o che non rispettano neppure tale contratto e nelle quali la misura della retribuzione è fissata unilateralmente dal padrone; c) fabbriche in cui vengono superati i minimi contrattuali. Il 90% delle aziende fa capo ai primi due gruppi (con prevalenza per il primo); al terzo gruppo appartiene la “Dalmine” e poche altre aziende”.
La situazione economica spiega perchè – fino ad anni molto vicini ai nostri – la terra orobica continui ad essere interessata da forti correnti migratorie: “per l’estero (in modo particolare dalle zone collinari e montane); per le altre province – e particolarmente Milano – dalla bassa pianura bergamasca. Le migrazioni interessano principalmente i lavoratori della terra e quelli che trovano occupazione nel settore edile. Rilevanti, però, anche le migrazioni dei lavoratori che cercano occupazione in altri settori dell’industria (5)” . Il supersfruttamento della manodopera, sempre nella stessa relazione, viene documentato dalla memoria dell’Inca, che ne indica le cause, oltre a fornire impressionanti dati sugli infortuni sul lavoro:
- 1951: 13.500;
- 1952: 15.280;
- 1953: 16.500;
- 1954: 18.450;
- 1955: 20.220.
Quella degli incidenti lavorativi è una triste continuità del nostro territorio, che si lega strettamente sia ad un mancato rispetto delle norme elementari di sicurezza che ad una fraintesa “etica del lavoro”, che porta a sottovalutare rischi e pericoli.
Intanto, la scissione sindacale del 1948 – che a Bergamo si consuma nella pratica solo un anno più tardi - ha inciso qui molto più che altrove perché si tratta in una delle pochissime province dove la corrente cristiana era maggioritaria. La nascita della Cisl riduce drasticamente il numero degli iscritti, in particolare di categorie cruciali come il settore tessile (con la immediata conseguenza di una riduzione altrettanto drastica delle donne tesserate alla Cgil) e quello agrario (6).
Le difficoltà finanziarie per la Cgil di Bergamo furono una costante, e gli stipendi per anni vennero corrisposti ai funzionari solo in parte e con grandi ritardi: chi sceglie la militanza sindacale in quel periodo merita l’attribuzione di “seminarista laico” che ne dà Gian Carlo Pajetta, riferendosi alla “bergamasca dell’Albero degli zoccoli”: “Protagonisti di una storia che può anche far sorridere ma che testimoniano ancora oggi come sudore e anche fame, dopo il sangue partigiano, dopo le botte della polizia, ci hanno permesso di costruire un’Italia diversa (7)” .
Dal punto di vista delle componenti partitiche, con il secondo Congresso camerale del 1949, i comunisti conquistano la maggioranza (52,94%), i socialisti che, dopo l’uscita della corrente cristiana erano stati per qualche mese la prima corrente, si attestano sul 39,55%, al terzo posto con il 3,33% i cristiani unitari. Segretario responsabile viene eletto Angelo Leris, comunista, per 8 anni in carcere durante il fascismo.
Nonostante si trovi nella necessità di ricostruire una struttura organizzativa quasi ex novo, in un clima politico nazionale assolutamente contrario alle forze della sinistra, la Cgil di Bergamo, negli anni fra il 1950 ed il 1955 promuove numerose iniziative dirette a denunciare la gravità della situazione economica della provincia: moltissimi i licenziamenti (3000 solo nei primi otto mesi del 1953), il problema degli alloggi, il supersfruttamento e gli infortuni sul lavoro, l’inadeguata assistenza sanitaria. La Camera del lavoro organizza manifestazioni e scioperi per la difesa dei posti di lavoro, ed è duramente impegnata in alcune delle vertenze che segnano la vita e sociale della nostra provincia, tra le quali la Cartiera Pigna di Alzano, la Dalmine, l’Ilva di Lovere, il Calzificio Germani di Seriate, le aziende tessili Polveresta, Reich e Sasa di San Pellegrino, l’Italcementi di Albino e Calusco del 1950; la Cab di Ponte San Pietro e la Pagliarini di Romano nel 1951; il bottonificio Ital-Suisse di Carobbio degli Angeli, la Sapez di Nossa nel 1952; il Linificio Canapificio nazionale di Fara d’Adda e Villa d’Almè nel 1953…(8)
“Di Vittorio voi non l’avete sentito mai, parlava come uno zucchero” (9)
I rapporti unitari sono sempre molto difficili, anche se ripetuti sono i momenti di mobilitazione e le iniziative di lotta indetti insieme da Cgil e Cisl. Bisogna invece aspettare il 1971 per celebrare il primo Primo maggio unitario, che dal 1950 anche a Bergamo inizia ad essere festeggiato dalla Camera del lavoro portando in piazza migliaia di lavoratori con bandiere, cartelli e carri allegorici, che ricordano le principali industrie e ribadiscono le parole d’ordine del sindacato guidato fino al 1957 da Giuseppe Di Vittorio.
Giuseppe Di Vittorio parla a Bergamo in due occasioni, lasciando in chi lo ascolta un’impressione notevolissima: nel 1950 – quando ritorna con forza sul carattere non religioso della scissione (10) - e il 17 aprile 1955 in piazza Vittorio Veneto; una data cruciale quest’ultima, perché la Cgil viene dalla dura sconfitta nelle elezioni della Commissione interna alla Fiat. Eppure la piazza si riempie per ascoltare il grande sindacalista comunista, che l’anno dopo non esita a prendere posizione contro la repressione sovietica in Ungheria, in aperta polemica con il segretario del Pci, Palmiro Togliatti.
Il boom economico
Il 1956 è l’anno per il sindacato del passaggio dalla contrattazione centralizzata a quella articolata, il quarto congresso nazionale della Cgil vara la linea dell’articolazione della lotta per accordi integrativi o contratti a livello di settore, di gruppi o di singole aziende. Dalla fine degli anni Cinquanta all’inizio degli anni Sessanta l’industria italiana conosce la grande produzione di massa, i processi di automazione, le trasformazioni della forza lavoro, i primi segnali importanti dello sviluppo di una politica dei consumi alla quale far partecipare anche strati popolari. Non sarebbe, infatti, comprensibile l’inizio pur timido della ripresa dei rapporti unitari tra le forze sindacali senza le grandi trasformazioni politiche mondiali e la sperimentazione in Italia della formula di governo nazionale del centro-sinistra che non solo allenta le tensioni ideologiche ma soprattutto apre una nuova fase economica e industriale del paese.
Gli anni Sessanta si aprono, per i lavoratori bergamaschi, in maniera tragica: il 10 maggio del 1961 a Sarnico, durante una manifestazione di solidarietà verso le lavoratrici e i lavoratori della manifattura tessile Sebina (che occupavano la fabbrica per una vertenza salariale) un drappello di carabinieri apriva il fuoco contro i presenti. Il lavoratore Mario Savoldi, colpito alla testa, moriva dopo poche ore, mentre altri sette operai riportavano ferite da arma da fuoco. Un mese dopo la Camera del lavoro organizza a Sarnico una manifestazione con Rinaldo Scheda, segretario della Cgil, e viene intitolata a Mario Savoldi la bandiera provinciale del sindacato unitario bergamasco (11).
L’autunno caldo, lo Statuto dei lavoratori e gli anni Ottanta
Nel biennio 1968 – 1969 anche la nostra provincia viene intensamente attraversata dal conflitto sindacale, che porta, tra l’altro, a dotare i Consigli di fabbrica, la nuova struttura sindacale interna ai luoghi di lavoro, di un potere contrattuale che mai le Commissioni interne avevano avuto.
Nel giugno del 1969 il Congresso della Cgil, con a capo Luciano Lama, decide che i Cdf siano la struttura di base del sindacato e, nel riconfermare la linea della contrattazione aziendale, decide di attivare le sezioni sindacali come sede per la contrattazione, sollecitando il riconoscimento del diritto di assemblea sul luogo di lavoro. A Bergamo si svolgono numerose manifestazioni di operai e di studenti soprattutto delle scuole professionali, che definiscono un 1968 partito un po’ in ritardo (12) ma fortemente caratterizzato socialmente e che irrompe in un tessuto urbano non abituato a questo tipo di avvenimenti.
Alla fine degli anni Sessanta i sindacati sollevano, in sede contrattuale, il problema delle gabbie salariali in una vertenza condotta unitariamente. Le differenze tra zona e zona sono consistenti, anche se ridotte da due accordi nel 1953 e nel 1961. L'obiettivo di eliminare del tutto le sperequazioni geografiche viene raggiunto in base ad un accordo concluso tra Fiom e industriali.
Di fondamentale importanza per la classe lavoratrice è l’approvazione dello Statuto dei lavoratori, la legge 300 del 1970 “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”: la legge regolamenta doveri e diritti all’interno della struttura produttiva e di lavoro, offrendo garanzie ancora oggi di straordinaria importanza. A questa legge ne seguono altre, sempre di grande rilevanza sociale e civile, molte delle quali riguardano il lavoro femminile; queste conquiste legislative, insieme alla ridefinizione dei rapporti di forza tra capitale e lavoro determinati dalle lotte della fine degli anni Sessanta preoccupa una parte dei poteri del Paese, e, già all’indomani dell’approvazione al Senato dello Statuto, avviene il primo di una lunga, tragica e sanguinosa serie di attentati, con lo scoppio della bomba alla Banca nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana.
Rispetto all’autunno caldo e, soprattutto, all’arretramento che ne seguì negli anni Ottanta, si può estendere con buona approssimazione all’intera struttura confederale locale quello che Maria Grazia Meriggi scrive a proposito della Dalmine: “L’esplosione del protagonismo del 1969 e del ciclo degli anni Settanta […] si caratterizzò per una contestazione diretta dei rapporti di lavoro […]. Dunque il sindacato [anche negli anni Ottanta ] mantenne un maggior prestigio soprattutto collegandosi alle forze politiche del territorio, recuperando un ruolo di mediazione rispetto ai problemi (sanità, casa, scuola) che aveva dovuto esercitare negli anni Cinquanta di fronte ai compiti della ricostruzione (13)” .
Gli ultimi vent’anni del Novecento preparano i cambiamenti che sono ora la nostra realtà quotidiana e iniziano significativamente con una sconfitta durissima , quella della Fiom alla Fiat nel 1980.
La Cgil del 2000
Il nuovo millennio si apre per la centenaria Camera del lavoro orobica – che tessera nel 2007 più di 92.000 iscritti - con un cambiamento radicale: dalla storica palazzina di via Scotti ci si sposta nell’edificio di via Garibaldi, dove trovano posto anche gli uffici che nel corso degli anni si erano sparsi per la città.
Una nuova sede per un sindacato che deve organizzare se stesso alla luce di un panorama economico, sociale e politico profondamente mutato anche nella nostra provincia: il sorpasso del terziario sul manifatturiero – che pure rimane una voce fondamentale delle attività produttive locali - , la forte e diversificata presenza straniera, manodopera insostituibile nei settori più disagevoli delle attività industriali e come supporto ad uno stato sociale sempre più latitante; l’aumento della precarizzazione dei contratti; il quadro politico stravolto, con l’imponente presenza di movimenti che fanno dell’intolleranza e della chiusura il proprio tratto distintivo, legittimando una mentalità corporativa e xenofoba presente in molti bergamaschi : “Il periodo della grande pressione del movimento operaio sulla pubblica opinione non aveva determinato un precipitato immediato nel voto politico, ma aveva certamente influenzato i comportamenti degli eletti e delle amministrazioni d centro-sinistra e in particolare dei cattolici al loro interno. […] Invece le ristrutturazioni produttive e le conseguenti politiche salariali e normative nazionali e locali degli anni Ottanta creano lo spazio per l’emergere di una localismo xenofobo di cui in precedenza erano evidenti solo tracce subculturali. Una conferma della lunga durata di una tendenza al localismo come valore e come reazione, utilizzata in momenti di crisi per ottenere consenso (14)”.
Rimangono all’ordine del giorno argomenti pesanti, oggetto di un attacco senza precedenti ai diritti dei lavoratori da parte delle politiche neoliberiste: il modello delle relazioni sindacali (il valore del contratto collettivo nazionale di lavoro, la democrazia nel rapporto con i lavoratori, le tutele contro la precarizzazione, la contrattazione in fabbrica e negli uffici); il rapporto tra il lavoro e il sociale (il sistema del welfare, delle protezioni sociali; le pensioni; gli ammortizzatori sociali, l’assistenza, il sistema sanitario; la formazione e la scuola pubblica). Dopo la fine del decennio della “concertazione”, gli anni ’90, il ruolo stesso del sindacato è in discussione, il suo modello, la sua unità: la fase che i lavoratori stanno attraversando è difficile e la battaglia della Cgil per i diritti ne è l’emblema.
Il 12 maggio 2008 gli Esecutivi unitari di Cgil, Cisl e Uil hanno approvato le linee di riforma della struttura della contrattazione e cioè le proposte per cambiare il modello contrattuale deciso con le controparti nel 1993. Un modello unico che prevede due livelli di contrattazione con il Contratto nazionale che determina i diritti universali e ha il compito di sostenere e valorizzare il potere d’acquisto. I Ccnl dovranno prevedere, in termini di alternativita’, la sede aziendale o territoriale. Quest’ultima deve potersi dispiegare in una molteplicità di forme: regionale, provinciale, settoriale, di filiera, di comparto, di distretto, di sito. La contrattazione accrescitiva di secondo livello sarà incentrata sul salario per obiettivi rispetto a parametri di produttività, qualità, redditività, efficienza, efficacia. I processi di trasformazione in atto richiedono una più alta capacità di contrattazione su: organizzazione del lavoro, condizione e prestazione lavorativa, valorizzazione della professionalità, orari, su tutte le tematiche legate alla flessibilità contrattata, la prevenzione e la formazione su salute e sicurezza del lavoro. E’ previsto inoltre un sistema che certifichi la rappresentanza e la rappresentatività delle relative OO.SS sindacali. In tema di democrazia sindacale le ipotesi di accordo dovranno essere sottoposte alla valutazione e approvazione dei rispettivi organismi direttivi per il mandato alla firma da parte delle stesse, previa consultazione certificata fra tutti i lavoratori, lavoratrici, pensionate e pensionati, come già fatto nel 1993 e nel 2007.
In conclusione, vale la pena di ricordare le parole che Bruno Trentin, allora segretario della Cgil, scrive nel 1997 ad introdurre la ricostruzione dei fatti successi alla Manifattura Sebina di Sarnico:
“ Non c’è più la Manifattura Sebina. Ma altre Manifatture Sebina possono prendere il suo posto, se la nostra società, con le sue istituzioni, i suoi sindacati, le sue forze civili non saprà governare il cambiamento imponendo, con il rispetto dei diritti universali della persona, una nuova cultura della solidarietà; e non saprà sconfiggere sia l’ottusa illusione di accordarsi nel corporativismo o di tornare al passato, sia la tentazione di sopraffare o di escludere i più deboli, così cinicamente teorizzata in questi tempi dai profeti del neoliberismo (15)”.
Note
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(1) Pino Ferraris, Le Camere del Lavoro tra storia e presente in C. Cantone, P. Ferraris, A. Giacobbe, F. Loreto, Il sindacato e Giuseppe Di Vittorio. Le Camere del lavoro e il loro insediamento nel territorio, Roma, 2008. Sulla storia delle origini della Cgil di Bergamo cfr. Angelo Bendotti e Giuliana Bertacchi, Liberi e uguali. La Camera del lavoro di Bergamo dalle origini alla prima guerra mondiale, Bergamo 1985.
(2) Le due tendenze in cui si divide il movimento dei lavoratori sono in netto contrasto tra di loro: una rivoluzionaria, che si propone di abbattere lo stato borghese, attribuendo tutto il potere al popolo, e una socialista-riformista, che mira ad ottenere riforme per via legale, con la partecipazione dei lavoratori alla vita politica dello Stato.
(3) Ferruccio Ricciardi, Lavoro, conflitto, istituzioni. La Fiom di Bergamo dal dopoguerra all’autunno caldo, Bergamo 2001. Sulle caratteristiche della società bergamasca, cfr. anche il saggio di Gianluigi Della Valentina, Economia e partito in Angelo Bendotti, Giuliana Bertacchi, Gianluigi Della Valentina. Comunisti a Bergamo. Storia di dieci anni (1943-1953), Bergamo 1986 e, per il periodo attuale, Maurizio Laini e Pasquale Andreozzi, Il valore dei soldi. Viaggio attraverso la cultura del lavoro e del denaro nel territorio bergamasco, Roma 2004.
(4) Maria Grazia Meriggi, Gli operai della Dalmine e il loro sindacato. Momenti della pratica sindacale della Fiom in una “zona bianca”, Bergamo 2002.
(5) Cfr. Camera Confederale del Lavoro di Bergamo e provincia, Condizioni dei lavoratori bergamaschi, 24 luglio 1956. Nel 1951 sono 30.000 i lavoratori bergamaschi che emigrano, nella maggioranza diretti in Svizzera, Francia e Belgio.
(6) Il 31 dicembre 1946 gli iscritti alla Cdl erano 77.893, al 31 ottobre 1949 erano 43.683 e nel 1951 erano ulteriormente scesi a 31.549. Con il 1952 si incomincia a invertire la rotta. Cfr. Vittorio Naldini, I rossi, i bianchi, i padroni. Lotte sindacali a Bergamo 1949-1965, Bergamo 1989.
(7) G.C. Pajetta, Presentazione a Giuseppe Brighenti, Dopo il mese di aprile. Autobiografia di un giovane comunista 1945-1953, Bergamo 1987. Cfr. anche Giuliana Bertacchi e Eugenia Valtulina, “Se son diventato sindacalista è per la Resistenza”. Partigiani, operai e militanti nella Cgil di Bergamo, Bergamo 2005, 2 voll.
(8) Una puntuale ricostruzione delle vertenze sia di categoria che delle singole aziende per gli anni dal 1949 al 1965 si trova in V. Naldini, I rossi, i bianchi, i padroni, cit.
(9) Francesco Laudadio, Scrivano ingannamorte, Palermo 2007
(10) “La scissione si è fatta non per un motivo religioso, perché se in uno solo dei nostri sindacati si dovesse verificare che per un qualsiasi motivo qualcuno offendesse il sentimento religioso di un lavoratore o di una lavoratrice, questo qualcuno noi lo espelleremmo per indegnità dal nostro sindacato”. Dal discorso di Di Vittorio a Bergamo in Le ragioni della Cgil. Giuseppe Di Vittorio alla classe lavoratrice della Lombardia, a cura di Maria Costa e Adolfo Scalpelli, Milano 1992.
(11) Sulla vicenda di Mario Savoldi, cfr. Carlo Simoncini, Cronaca di una serrata. I fatti di Sarnico (maggio 1961), Bergamo 1997.
(12) In un’inchiesta svolta nel 1970 sui testi di o su Lenin conservati nelle biblioteche civiche delle città capoluogo lombarde, Bergamo risulta ultima, con un solo testo. Cfr. Inchiesta su Lenin 1970, a cura del Centro di studi proletari Alfredo Casati di Milano, Archivio Biblioteca Fondazione Feltrinelli, Milano.
(13) Maria Grazia Meriggi, Gli operai della Dalmine e il loro sindacato, cit.
(14) Maria Grazia Meriggi, Gli operai di Dalmine e il loro sindacato, cit.
(15) Cfr. Bruno Trentin, Prefazione a Carlo Simonicini, Cronaca di una serrata, cit.