In cucina, nei cantieri, nei campi, nelle case, negli ospedali. Ogni giorno migliaia di persone arrivate da altri Paesi fanno funzionare Bergamo.
Sono 111 mila contribuenti, più di 300 milioni di euro di Irpef versata in un anno. Dietro quei numeri ci sono volti, turni, fatica.
Chi lavora a Bergamo e viene da un altro Paese guadagna in media 8.400 euro in meno rispetto ai lavoratori italiani. Una differenza che non dipende dall’impegno, ma dai settori in cui si concentra l’occupazione: quelli più poveri, con meno tutele.
In fabbrica, nei servizi, nella logistica, nella ristorazione, nell’agricoltura: lavori essenziali, ma spesso meno stabili e meno retribuiti.
Eppure, senza di loro, Bergamo si ferma.
Sempre più persone hanno scelto di costruire qui la propria impresa. Gli imprenditori nati all’estero sono quasi 13 mila, uno su dieci. Negli ultimi dieci anni sono aumentati del 20%, mentre quelli italiani sono diminuiti. Un segnale chiaro: serve garantire le stesse opportunità a chi lavora e investe qui.
“Il divario di reddito è un indicatore di disuguaglianza, legato ai contratti poveri e alla segregazione nei settori più fragili. Serve superare il sistema dei decreti flussi e garantire lavoro stabile, formazione e sicurezza”, dichiara Annalisa Colombo, segretaria della CGIL Bergamo.
L’immigrazione non è un’emergenza: è lavoro, reddito, impresa, parte della nostra comunità. Riconoscerlo è il primo passo per rendere più giusta Bergamo.