Con l’inizio di settembre è ripartito ufficialmente l’anno scolastico. Sono oltre 7 milioni le studentesse e gli studenti e più di 1,2 milioni le lavoratrici e i lavoratori impegnati nella scuola. Il governo ha annunciato 41.901 nuove immissioni in ruolo, pari a meno dell’80% dei posti disponibili: un numero che lascia comunque scoperte moltissime cattedre.
Il dato più allarmante resta quello delle supplenze: lo scorso anno si è superata quota 300.000 supplenze (al 30 giugno e al 31 agosto). È la dimostrazione del fallimento delle politiche sul reclutamento: da quando l’attuale ministro è in carica, le supplenze non diminuiscono, ma continuano ad aumentare. «Anche in provincia di Bergamo oltre il 30% del personale è precario – ricorda Fabio Cubito, segretario generale FLC CGIL Bergamo –. Questa situazione è un problema per i lavoratori, ma anche per i ragazzi e le famiglie: diventa difficile garantire continuità didattica.»
Sul fronte salariale, il governo ha annunciato uno stanziamento straordinario di 240 milioni di euro. Tradotto: circa 124 euro lordi una tantum per dipendente, poco più di 10 euro lordi al mese e solo per un anno. Una misura insufficiente che non risolve il problema strutturale: gli stipendi italiani restano tra i più bassi d’Europa.
Non c’è solo la questione economica. Il ministro Valditara sta portando avanti un progetto che riporta la scuola indietro di decenni: nuove indicazioni nazionali dal sapore ottocentesco; ritorno ai voti e alla condotta; liceo del Made in Italy e progetto 4+2.
«L’obiettivo del ministro è chiaro: portare nella scuola pubblica un’idea autoritaria e dirigista, che contraddice la libertà di insegnamento e l’autonomia scolastica» ha sottolineato Gianna Fracassi, segretaria generale FLC CGIL.
Attraverso la delega contenuta nel ddl “semplificazione”, il governo punta a riscrivere il funzionamento degli organi collegiali. Un intervento che ridurrebbe la voce di insegnanti, studenti e famiglie, accentuando il potere centrale.
Per contrastare questo progetto di regressione, il Tavolo per la scuola democratica ha indetto una giornata di mobilitazione nazionale il 18 ottobre, con iniziative diffuse nei territori.
La scuola pubblica non ha bisogno di annunci o misure spot, ma di investimenti strutturali, continuità per chi ci lavora e rispetto della libertà di insegnamento. Difendere la scuola pubblica significa difendere la Costituzione.