Sugli effetti che il conflitto in Ucraina sta avendo e avrà in termini economici e sociali (e su come occorrerebbe affrontarli) interviene Gianni Peracchi, segretario generale della CGIL di Bergamo.
“Dopo la pandemia e le sue propaggini, siamo entrati in un conflitto che mai avremmo pensato possibile nel 2022 in piena Europa. Non mi soffermo sull’insensatezza e sulla drammaticità degli eventi a cui assistiamo, né voglio commentare qui le vicende del conflitto scatenato dall’invasione russa in Ucraina. Mi limito a dire che bisogna insistere con tutte le nostre forze per raggiungere l’obiettivo del cessate il fuoco, dell’attivazione di corridoi umanitari e di una pace stabile e duratura. Al contempo ritengo sacrosanto il diritto del popolo ucraino di difendersi, con tutti gli aiuti possibili (e ragionevoli) anche da parte nostra. Immagino però, realisticamente, che i tempi saranno lunghi, più di quanto si potesse immaginare, con la speranza che il conflitto non dilaghi oltre il suo perimetro e non cresca in termini di intensità”.
“Una cosa è certa: gli effetti dal punto di vista economico e sociale in Europa e in Italia sono e saranno pesantissimi. Per questa ragione il progetto di transizione e rigenerazione messo a punto prima dello scoppio della guerra, anche come risposta alle crisi prodotte dalla pandemia, deve essere rivisto e riadeguato.
Non soltanto per la questione dei costi energetici saliti alle stelle, che hanno eroso una buona parte delle risorse a disposizione del Next Generation Eu, ma anche perché la crescita che sembrava fosse ripartita ora subisce un drastico rallentamento e le previsioni future non volgono certamente al meglio”.
“Già prima della guerra, nonostante la crescita delle retribuzioni nel 2021, in Italia è calato vistosamente il loro potere d'acquisto. Lo dicono dati Istat, secondo cui l'indice delle retribuzioni contrattuali orarie - nella media dello scorso anno - segna un +0,6% rispetto al 2020. Tuttavia, si sottolinea la salita dell'inflazione nel medesimo periodo (+1,9% in media). In Italia l'inflazione su base annua cresce ancora, dal 5,7 di febbraio al 6,7 di marzo, secondo stime preliminari dell'Istat. In altri Paesi è anche più alta. A proposito di questo, però, in base a recenti dati pubblicati dall’Ocse a febbraio, si osserva che la crescita dell’inflazione produrrà però effetti più deleteri in Italia che altrove. Infatti, le statistiche sul reddito reale pro capite delle famiglie mostrano che il valore di questo indice è calato in Italia tra il 2007 e il 2021 dell’8%, mentre negli altri Paesi europei comparabili (Francia, Germania, Inghilterra, ecc) il reddito reale è cresciuto, in alcuni casi anche significativamente. Grecia, Italia, Spagna e Lussemburgo sono i Paesi dell’Ocse a registrare un Pil pro capite ancora inferiore a quello del 2007. Per questa ragione oltre agli aiuti per aziende e famiglie su bollette e welfare torna alla ribalta un tema rilevante, di cui si era persa in parte traccia: la questione salariale e del lavoro povero. Vale la pena ricordare come il nostro Paese sia all’ultimo posto nella graduatoria in Europa delle economie più sviluppate considerando il valore medio del salario sviluppatosi negli ultimi trent’anni. È un tema che deve, quindi, rientrare con forza nell’agenda sindacale, nazionale e locale, di confronto con le rappresentanze datoriali. Potrà sembrare paradossale e forse fuori luogo parlare di buon lavoro e buoni stipendi in tempi di guerra, ma non lo è affatto. Sostenere e riconoscere pensioni, salari e lavoro è una leva efficace, insieme a conoscenza e formazione, per innescare un movimento positivo dell’economia, dello sviluppo e della solidarietà”.