Per anni ha finto di non curarsene, di farsi scivolare addosso quelle frasi dette spesso con il tono dello scherzo, ma che in realtà non facevano ridere per niente. “Bella negretta”, “patanegra”, e un saluto ricorrente da parte di un titolare, che con lei faceva battute e ripeteva sempre: “Ciao nera di m.”.
Posto di lavoro in cui vai, gradi più o meno pesanti di razzismo che trovi: così Maty (non il suo nome reale), lavoratrice di 26 anni che si è rivolta alla CGIL di Bergamo per una differenza retributiva da recuperare, alla fine ha raccontato al sindacalista dell’Ufficio Vertenze la serie di atti di razzismo quotidiano che, da quando lavora, le è sempre toccato di sopportare.
“Ho lasciato perdere ogni volta, soprattutto in ambito lavorativo, perché a casa ho un figlio piccolo da mantenere da sola” ha raccontato la giovane donna negli uffici CGIL, la scorsa settimana. “Nella vita privata ho iniziato a rispondere, senza mai però andare allo scontro. Mi sono solamente stancata di stare zitta, non voglio e non posso più farlo”.
Ripercorre la sua carriera lavorativa, mette in fila i diversi posti di lavoro in cui ha operato in questi anni, e i conseguenti diversi episodi di frasi offensive e degradanti che ad ogni occasione si sono ripetuti. “La mia generazione si comporta come se dovesse dimostrare a tutti i costi che al lavoro ci tiene, quindi niente sindacati, e devi avere paura”, riflette ad alta voce.
Il primo lavoro lo ha trovato a vent’anni, come banconista in una catena di ristoranti in provincia di Bergamo, con mansioni anche in sala, cucina e nel servizio. “Il mio capo responsabile ogni volta mi salutava dicendo ‘ciao nera di m.’. Io non ho mai protestato. Poi ho lavorato al bancone della salumeria in un supermercato. Lì un collega mi chiamava ‘patanegra’, che è una marca di prosciutto. Anche lì non dicevo nulla, non apertamente. Ma quando ne parlavo con persone amiche, il loro comportamento ricorrente era quello di giustificare sempre l’atteggiamento di chi diceva quelle cose, come se fosse colpa mia perché prendevo troppo seriamente quelle parole”.
“Ho lavorato poi come cuoca in un ristorante nel capoluogo. Ho trovato un ambiente sessista e razzista. La madre del proprietario, che di solito mi chiamava ‘bella negretta’, un giorno mi ha detto: ‘C’è una macchia per terra, pulisci tu che tra neri vi capite’. Ho protestato solo ridendo, come se anche per me fosse uno scherzo, per non mettere a disagio nessuno”, aggiunge Maty, che poi conclude: “Nel corso del tempo, i colleghi che hanno riconosciuto il problema mi hanno sempre detto di lasciar perdere. D’altra parte siamo io e mia figlia, una famiglia monoparentale, il lavoro è importante, così – senza essere libera di rispondere come davvero avrei voluto - mi sono sempre trattenuta”.
“Da tempo intuiamo quanto la parte sommersa di simili episodi di razzismo e sessismo sia ampia e preoccupante anche nella nostra provincia, e infatti anche in questo caso la denuncia di molestie è emersa solo incidentalmente, in occasione di problemi strettamente legati alla questione contrattuale e salariale” ha commentato Annalisa Colombo, segretaria provinciale della CGIL di Bergamo. “Paura di perdere il lavoro, imbarazzo, reazione dei colleghi che sminuiscono la gravità delle parole: è evidente che servano più tutele e sostegni per evitare che casi del genere continuino a ripetersi”.
La CGIL di Bergamo è iscritta da molto tempo al Registro delle Associazioni e degli Enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni e della promozione della parità di trattamento, nell’ambito dell’attività dell’UNAR, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali.