Regione Lombardia ha diffuso un comunicato in cui preannuncia lo stanziamento, per ridurre le liste d’attesa, di 84 milioni di euro “per dare una risposta più immediata ai bisogni di cura dei lombardi”. Il comunicato precisa che degli 84 milioni, 44 (pari al 52%) sono destinati alle strutture pubbliche e 40 (48%) alle strutture private.
È una percentuale analoga a quella che, sempre in materia di prestazioni ambulatoriali, il recentemente pubblicato Bilancio Preventivo dell’ATS di Bergamo stanzia per il 2022: 111.884.874 di euro per le strutture pubbliche (51%) e 105.792.722 di euro per le strutture private (49%).
Le cifre parlano, dunque, di una sostanziale parità pubblico/privato nell’offerta di servizi sanitari ambulatoriali e di diagnostica strumentale. È infatti questo l’obiettivo che si propone Regione Lombardia, obiettivo affermato nelle tre più recenti Leggi Regionali in materia (la 31 del 1997, la 23 del 2015 e, da ultimo, la 22 del 2021).
Molto opportunamente il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nei suoi rilievi alla Legge Regionale 22 (la “riforma” della “riforma lombarda”) contesta i principi di “equivalenza” e “parità di diritti e di obblighi per tutti gli erogatori di diritto pubblico e di diritto privato” previsti dalla legge lombarda, richiede chiarimenti alla Regione su questi principi di “parità”: “in particolare con riferimento al preminente ruolo dell’ente pubblico che, in quanto titolare della funzione sanitaria, definisce il fabbisogno e, in coerenza con questo, decide quali prestazioni acquistare dal privato accreditato che, pertanto, opera, differentemente dagli enti del servizio sanitario nazionale, sulla base di un accordo contrattuale in cui la regione definisce volumi e remunerazione dell’attività”. In sostanza il Ministero ricorda alla Regione i suoi doveri di programmazione sulla base dei bisogni di salute, doveri che non possono certo esaurirsi in una salomonica divisione a metà dei fondi (che poi, come si sa, non è certo una divisione a metà delle prestazioni perché con gli attuali tempi di attesa una parte sempre più rilevante dei pazienti si rivolge necessariamente ai servizi privati a pagamento diretto).
Presentare il carattere salomonico del nuovo stanziamento come un atto necessario alla riduzione delle liste d’attesa fa dimenticare il fatto che se le strutture pubbliche non sono ora in grado di far fronte alle richieste dei pazienti e che quindi è necessario ricorrere massicciamente alle strutture private, è perché le politiche del personale di questi ultimi anni hanno pesantemente ridotto le capacità delle strutture pubbliche non solo di far fronte ad eventi straordinari ma perfino alle normali esigenze della quotidianità (la sostituzione del turnover, le ferie del personale, l’organizzazione degli orari con turni accettabili…).
Di seguito il grafico con i dati dai bilanci consuntivi finora pubblicati dall’ATS (2014-2020).
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