La situazione dei lavoratori e delle lavoratrici della vigilanza, che nella sola Lombardia sono ben più di 20 mila e circa 2 mila in provincia di Bergamo, è drammatica.
A peggiorare una condizione già gravata da salari lontani dal poter essere considerati dignitosi ci sono le difficili condizioni lavorative alle quali sono sottoposti molti addetti, costretti a subire turni e orari improponibili. Per molti flessibilità e reperibilità sono una costante, con datori di lavoro che non di rado comunicano cambiamenti di turno con un anticipo di poche ore, spesso il giorno stesso o a turno già iniziato. Non è ammissibile che nel nostro Paese ci siano così tanti lavoratori con contratti collettivi spesso scaduti da anni e che pur lavorando sono, di fatto, poveri: nel settore sicurezza non è raro vedere dipendenti che, nonostante lavoro festivo e turni notturni, arrivano a prendere ben meno di 1.500 euro netti al mese.
Proprio per questo abbiamo deciso di indire una giornata di sciopero per l’intero turno, e un presidio davanti alla Prefettura di Bergamo.
Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs denunciano la situazione drammatica in cui versa il settore e lo stato di sofferenza e di profondo disagio dei lavoratori e delle lavoratrici che sono da ben sette anni senza un aumento salariale, con stipendi insufficienti, di fronte alla costante violazione delle norme di legge e dei contratti anche in tema di salute e sicurezza e alla cronica carenza di tutele adeguate rispetto all’evoluzione del settore.
Troppo spesso, anche in caso di evidenti violazioni, le istituzioni non esercitano la funzione di controllo e intervento loro assegnata dalle norme vigenti: un comportamento ancor più inaccettabile se riferito a lavoratori e lavoratrici che quotidianamente garantiscono la sicurezza privata e pubblica, come ampiamente dimostrato dal lodevole impegno espresso durante l’intera fase emergenziale sanitaria, spesso facendosi carico di compiti impropri in nome dell’interesse generale.
Questi problemi vanno letti nel contesto già difficile di un’attività basata su contratti di appalto pubblici e privati, in cui la mancata definizione di norme adeguate per la tutela della professionalità e dell’occupazione espone migliaia di persone alla logica del massimo ribasso.
Non è più tempo di rimandare se si vuole tutelare la dignità del lavoro e difendere il potere d’acquisto dei cittadini, oggi messo a dura prova anche dall’inflazione che sta colpendo tutti ma soprattutto i lavoratori. È fondamentale agire per trovare una soluzione affinché ci sia una diversa distribuzione della ricchezza che oggi vede un modello iniquo che sfavorisce soprattutto coloro che vivono da reddito dipendente, pensionati e lavoratori autonomi.
È ora di agire: le persone non sono numeri e come tali hanno bisogno di risposte.