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Peracchi (CGIL): “L’approvazione della direttiva Europea sul salario minimo è un’ottima notizia”. Buona la proposta del Ministero del Lavoro, ma serve una legge sulla rappresentanza contro i contratti pirata

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Un passo in avanti nella direzione della costruzione di un Europa che ha a cuore la giustizia sociale e il lavoro, ed accelera, dopo le decisioni comuni per affrontare la pandemia e rimarginarne le conseguenze socio economiche, sulla strada della costruzione di una casa democratica comune.

L’obiettivo di dare dignità ai lavoratori del continente e di evitare che chi lavora si possa trovare in condizioni di povertà è stato declinato lasciando la libertà ai paesi dell’Unione di poter scegliere tra due opzioni: un salario minimo per legge o una estensione delle coperture dei contratti nazionali in misura non inferiore all’ottanta per cento.
I paesi dell’Unione in cui non è previsto il salario minimo sono il nostro, insieme a Svezia, Austria, Cipro, Danimarca e Finlandia. Va detto che per quanto ci riguarda il grado di copertura percentuale dell’applicazione dei contratti è alto e si attesta comodamente intorno al minimo previsto dalla direttiva europea. È però altrettanto vero che troppi contratti collettivi nazionali prevedono condizioni salariali che non consentono al lavoratore una vita dignitosa, anche a causa del fenomeno dei cosiddetti contratti pirata (contratti firmati da sindacati pressoché inesistenti e sicuramente non rappresentativi). Ne è la riprova il fatto che il nostro Paese è l’unico dell’Unione (e non solo) ad avere visto le retribuzioni abbassarsi negli ultimi 30 anni.
Nella nostra provincia la media della paga oraria è leggermente più bassa di quella regionale e si attesta appena sopra quella nazionale. Gli incrementi nel corso degli ultimi anni sono stati modestissimi e non hanno mantenuto, oggi men che meno con l’inflazione che galoppa, il potere d’acquisto dei salari. Molti chiedono con enfasi di abbassare ulteriormente il costo del lavoro agendo sul cuneo fiscale. E’ una strada interessante ma che va valutata con ponderazione, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto contributivo, che rischierebbe di danneggiare ulteriormente le pensioni delle nuove generazioni. A questo riguardo ricordo che ci attestiamo al quinto posto per incidenza dei contributi e tasse sul costo del lavoro, dietro a partner europei come Belgio, Francia, Austria e Germania: tutti paesi in cui i salari valgono molto più dei nostri. Quindi, forse, c’è un problema di produttività la cui soluzione può anche passare dall’incremento delle buste paga dei lavoratori e dall’investimento sul loro benessere psico fisico, anche con i rinnovi contrattuali.
Oggi, in Italia, sul salario minimo c’è in campo una proposta avanzata dal ministro del lavoro. E’ una proposta che, nel solco della direttiva UE, prevederebbe una sua definizione per via legislativa ma prendendo a riferimento i principali contratti di settore sottoscritti dalle confederazioni maggiormente rappresentative. E’ una posizione interessante, da tenere in buona considerazione, che potrebbe avvicinare anche le diverse sensibilità tra CGIL CISL e UIL su questo tema e salvaguarderebbe il valore della contrattazione tra le parti. Però per poter fare questo è necessario un supporto legislativo per la misurazione della rappresentanza: non è accettabile che vi siano contratti firmati al ribasso da chi rappresenta nessuno! Abbiamo già il modello sperimentato positivamente nel pubblico impiego, quello che tra l’altro disciplina le elezioni delle R.S.S.U. nei luoghi di lavoro e un importante accordo interconfederale tra CGIL CISL Uil e Confindustria. Partendo da lì si potrebbero stabilire i criteri per l’estensione all’intero mondo del lavoro dei contratti collettivi ed al contempo sfoltirne draconianamente la giungla, migliorando così le condizioni salariali del lavoro dipendente.

Via Garibaldi, 3 - 24122 Bergamo (BG)

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