La prossima settimana i lavoratori del mondo della scuola (oltre a quelli del settore pubblico) saranno chiamati a eleggere i loro delegati sindacali, cioè i colleghi che, pur continuando a restare in aula, si metteranno a disposizione per risolvere problemi e per dare una mano a rivendicare e vedere garantiti i diritti di chi lavora.
In provincia di Bergamo, sono 20mila i dipendenti del mondo della scuola, dell’università e della ricerca a venire chiamati alle urne. Sui 140 istituti scolastici di diverso ordine e grado del territorio provinciale, la FLC-CGIL ha presentato le proprie liste in 131 scuole pubbliche, con 294 candidati in corsa. All’Università degli Studi di Bergamo quella della CGIL è l’unica lista presentata, con 6 candidati.
Ma cosa significa essere un delegato sindacale a #scuola? Lo abbiamo chiesto a un prof di informatica di Bergamo.
“Chi meglio dei suoi lavoratori può spendersi per una scuola migliore?”, si chiede Adriano Rampoldi, insegnante di informatica all’Istituto Tecnico Industriale Paleocapa, per quasi 10 anni RSU della FLC-CGIL di Bergamo nelle diverse scuole in cui ha insegnato.
La sua lunga esperienza non ha in nessun modo smorzato l’entusiasmo di mettersi a disposizione dei colleghi, lavoratore fra altri lavoratori, sempre disponibile a dare una mano.
I primi tempi nei panni del delegato, racconta, lo hanno “quasi spaventato. Molte erano le informazioni da padroneggiare, numerose le pagine del Contratto nazionale da conoscere. Se ti fai prendere la mano, può insinuarsi la paura di essere inadeguati. Ma i colleghi RSU più anziani mi hanno presto fatto capire che non c’era nessuna montagna da scalare, che non ero un Don Chisciotte contro i mulini a vento e che invece, alle spalle, avevo a disposizione tutta la struttura del sindacato, pronta in ogni momento ad assistermi. Ho imparato che il mio ruolo è quello di essere un tramite tra i colleghi a scuola e il sindacato, e il mio compito quello di raccogliere le sollecitazioni degli altri lavoratori e notare ciò che non va, per migliorare la situazione, dare una mano ai nuovi arrivati, ai precari, a chi ha minore anzianità”.
La sua attività in RSU, ci dice, “è stata in generale a basso conflitto, si è svolta cioè in un contesto in cui si è sempre cercato di risolvere i problemi, e, pur non sempre trovandosi d’accordo, cercando la via del dialogo”.
“Fare parte di una RSU per me ha sempre significato conciliare le istanze e risolvere i problemi del mio istituto scolastico. E contribuire al miglioramento dell’offerta formativa, gestendo progetti per una scuola migliore, visto che oggi negli istituti esiste un certo margine per la gestione delle risorse. La RSU è coinvolta solo parzialmente a titolo decisionale, ma resta comunque un ruolo di responsabilità. L’obiettivo di sempre resta quello di fare qualcosa di bello, nella scuola in cui lavoriamo”.