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Poste Italiane, le voci di un operatore di sportello e di un portalettere della provincia di Bergamo

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Il timore più grande è che si snaturi la vocazione universalistica del servizio, penalizzando le aree più isolate d’Italia. Sull’intenzione del governo di vendere altre quote azionarie di Poste Italiane, ora in mano pubblica, si è ripetutamente espressa in maniera negativa la SLC-CGIL, la categoria sindacale che rappresenta i lavoratori postali. Il sindacato si è detto “contrario a ulteriori svendite di un’azienda che assume una funzione sempre più importante per la crescita e la coesione sociale nel Paese”.
A Bergamo abbiamo chiesto a due lavoratori di Poste Italiane come stiano vivendo questa fase così incerta e, soprattutto, quali siano le condizioni in cui si trovano a svolgere le loro mansioni.

È un operatore di sportello postale da 15 anni, Calogero Aronica, al lavoro nell’ufficio di via Corridoni e delegato CGIL. In passato, per altri 17 anni, aveva lavorato come portalettere. “Quello che temiamo è che l’ulteriore privatizzazione si tramuti in un taglio del personale. E questo malgrado si sia in presenza di una carenza di personale costante, così la leva dello straordinario è fortemente utilizzata, se ne fa largo ricorso, oppure si operano distacchi di operatori da un ufficio all’altro”.

Proprio per far comprendere perché, agli sportelli postali, il cittadino abbia spesso l’impressione di un servizio poco efficiente, Calogero Aronica sottolinea “la frequente mancanza di formazione del personale, che viene spostato da un posto all’altro, messo subito al lavoro e costretto a cercare di imparare sul campo, chiedendo di continuo aiuto ai colleghi, senza il tempo di venire istruito. C’è la sensazione di essere mandati a lavorare ‘allo sbaraglio’. La sportelleria, tra l’altro, gestisce una grande quantità di servizi, in costante trasformazione, da quelli tradizionali, classici, fino ai prodotti evoluti e pregiati, dai buoni postali, all’apertura di carte prepagate, il che significa stipulare contratti veri e propri, impegnativi e lunghi. Siamo persino entrati nel mondo dell’energia con contratti allo sportello e ci occupiamo anche del primo aggancio per la stipula delle assicurazioni. Ed ora, anche se solo per alcuni specifici uffici, si prevede di rendere operative alcune pratiche dell’anagrafe pubblica, tra carte identità e passaporti”.

“A fronte di questa variegata attività per la quale, senza adeguata formazione né aggiornamento, ci si deve arrangiare, dobbiamo fare i conti anche il frequente malfunzionamento di hardware obsoleti che si inceppano nel mezzo delle operazioni e fanno perdere tempo” aggiunge Aronica. “In genere in banca, di fronte ad attese e lungaggini, i cittadini restano zitti e aspettano, in Poste invece la gente si arrabbia con il personale, e urla. Per questo siamo scoraggiati, e con la privatizzazione temiamo il peggio: perché intuiamo che potrebbe preludere allo scorporo dell’azienda, con la sportelleria e i servizi finanziari più pregiati che si trasformeranno in banca, mentre ci chiediamo per il recapito, che è attività in difficoltà, che fine faranno lavoratori e modalità di lavoro”.

A questo quadro non facile si aggiunge anche la questione salariale, perché gli stipendi dei postali sono davvero bassi: il minimo contrattuale è di 1.266 netti mensili per una media di 7,12 ore al giorno. “Non ci sono scatti di anzianità e pur lavorando da vent’anni io guadagno pressoché come un postino che è assunto oggi al mio stesso livello” fa notare Elio Maffioli, portalettere al centro di distribuzione di Ponte San Pietro, impegnato nel recapito sul territorio di Presezzo. “Ecco perché svolgere gli straordinari a molti fa comodo, perché gli stipendi sono bassi. Ma non è giusto, l’azienda ne approfitta, e se una zona da coprire con il recapito ha carenza di personale da anni, Poste finisce per non risolvere mai il problema, e ricorre di continuo al lavoro straordinario, oppure ricorre all’impiego di ragazzi con contratti trimestrali. Io non faccio straordinari, non mi pare giusto accettarli per coprire carenze strutturali che andrebbero risolte in altro modo. Ma ai nuovi arrivati noto che viene chiesto ripetutamente di farli”.

“In tutti questi anni ho visto diverse riorganizzazioni di Poste” prosegue Maffioli. “Molto è cambiato, anche in meglio, dai mezzi aziendali (prima utilizzavamo moto e auto nostre), ai palmari introdotti con la progressiva digitalizzazione (pur con problemi e intoppi tecnici, talvolta). Anche riunirci in centri di recapito è stato più funzionale, cercando di garantire un certo equilibrio di lavoro per zone. Quello che invece secondo me si poteva fare meglio, è la gestione del recapito pomeridiano. Nell’arco di una stessa giornata, usciamo in tre portalettere, magari per transitare lungo le stesse strade, anche per recapitare posta arrivata sin dal mattino. Il punto è che con diverse persone che si alternano è venuta meno la famigliarità con i cittadini. Non ha migliorato la consegna, sicuramente non ha migliorato i rapporti. Vedere magari quattro postini in una settimana disorienta le persone, che se sentono suonare il campanello alle 9 di sera da un portalettere che non conoscono finisce magari che non aprano nemmeno. Questa è l’impressione che ho. Viene meno la funzione sociale, malgrado l’azienda parli sempre di famigliarità e clienti affezionati. Certo, il prodotto è indubbiamente cambiato, l’e-commerce fa la differenza, ma le consegne appaiono frammentate, non si è più punto di riferimento sul territorio. Cosa accadrà con la privatizzazione lo vedremo, non possiamo saperlo prima. Ma attenzione a conservare il rapporto con i propri clienti, che l’azienda dice di avere ma che invece è già in parte compromesso”, conclude il lavoratore.

Via Garibaldi, 3 - 24122 Bergamo (BG)

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