Hanno protestato e incrociato le braccia perché non vogliono più sentire parlare di tagli dell’occupazione e dei salari, di gestioni che non fanno gli interessi di chi lavora (ma solo quelli di fondi di investimento o gruppi finanziari esteri), e perché considerano insopportabile l’idea di essere il fanalino di coda europeo nella strategica rivoluzione digitale in corso. Quella di martedì 6 giugno per i lavoratori delle telecomunicazioni (TLC) è stata una giornata di sciopero nazionale.
“La deriva in atto rischia di affossare il comparto e di avere serie ricadute per l'occupazione anche sul territorio bergamasco” hanno dichiarato Lorenzo Martinelli di SLC-CGIL e Terry Gattoni di FISTEL-CISL di Bergamo. “Nella nostra provincia i lavoratori del comparto sono circa un migliaio. La preoccupazione è per le grandi compagnie, che qui sul territorio sono rappresentate da TIM e WIND3. Gli addetti di quest’ultima hanno aderito in maniera consistente all'ultimo sciopero del 4 maggio. I rischi ricadono, però, anche sulle ditte d'installazione TLC e sui numerosi call center di varie dimensioni che dipendono dalle commesse dei grandi player e che vedono la loro marginalità in riduzione costante”.
Per partecipare alla manifestazione a Roma, in piazza Santi Apostoli, da Bergamo è partita una delegazione di sindacalisti e delegati. A livello nazionale sarebbero a rischio oltre 20 mila posti di lavoro nel solo perimetro delle grandi società, senza calcolare gli effetti generati nell’intero sistema degli appalti del settore.
“Da anni assistiamo a un processo per cui il mercato brucia ricavi e provoca un lento e inesorabile stillicidio occupazionale, che ha praticamente dimezzato la forza lavoro dei maggiori gestori italiani” hanno proseguito i due sindacalisti. “Negli ultimi 15 anni si è proceduto a un continuo ricorso ad ammortizzatori sociali, esodi incentivati, tagli nella contrattazione aziendale, perdite di professionalità importanti e blocco pressoché totale del ricambio generazionale. La direzione imboccata di recente, quella di dividere le infrastrutture di rete dai servizi, è miope perché pensiamo che impoverirà ancora di più il settore, trasformando aziende leader in meri rivenditori di servizi, i cui azionisti di riferimento non sono neanche italiani. In un contesto iper-competitivo, le aziende dovranno continuare a rivedere al ribasso la struttura della spesa, andando a colpire il costo del lavoro e dunque l’occupazione”.
Duro è anche il giudizio dei sindacati sull’operato delle istituzioni pubbliche: “Lo Stato non sta svolgendo alcun ruolo di regolazione, non vediamo nessun intervento strutturale che possa dare stabilità al settore rilanciando un asset che è strategico per il sistema Paese” hanno concluso i rappresentanti di SLC-CGIL e FISTEL-CISL provinciali. “Da mesi a livello nazionale si assiste a un surreale tavolo tecnico presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy, nel quale è però assente la voce dei rappresentanti dei lavoratori”.