Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, venerdì 5 maggio è entrato in vigore il DL Lavoro approvato il Primo Maggio dal Consiglio dei ministri. Sulle “Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro” previste nel testo, interviene con alcune considerazioni Marco Toscano, segretario generale della CGIL di Bergamo.
“Il decreto introduce modifiche alle norme che disciplinano il contratto a tempo determinato, regolato finora dal Decreto Dignità del 2018. Nei fatti il Decreto Lavoro interviene riscrivendo la disciplina delle causali (necessarie al superamento dei 12 mesi di contratto) da apporre ai contratti a termine. Mentre prima la legge stabiliva che le causali dovessero essere riconducibili a ragioni temporanee, non prevedibili o estranee alla normale attività oppure a sostituzione di personale assente (ad es. per maternità), nei fatti il nuovo testo mantiene solo quest’ultimo paletto prevedendo poi che altre casistiche siano gestite dalla contrattazione collettiva (nazionale o aziendale) o, in sua assenza, che le ‘esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva’ siano definite da un accordo tra datore di lavoro e lavoratore. Qui sta la maggiore criticità visto che nella fase di definizione di un contratto o di una proroga, datore di lavoro e lavoratore non possono essere messi sullo stesso piano e quest’ultimo è evidentemente in una condizione di debolezza”.
“Il governo decide insomma – puntualizza Toscano - di andare nella direzione opposta rispetto a quella imboccata, ad esempio, dalla Spagna con la sua riforma del febbraio 2022. Una riforma, quest’ultima, di rilievo non solo per i contenuti (nei fatti limita il ricorso al contratto a tempo determinato a favore del lavoro stabile) ma anche per il metodo con cui la si è costruita. Si tratta infatti del frutto di un intenso lavoro di confronto tra governo e parti sociali, il cui ruolo, quando si parla di regole del lavoro, è stato ampiamente riconosciuto dall’esecutivo iberico. Il Decreto Lavoro del governo italiano nasce invece senza che vi sia stato alcun coinvolgimento concreto delle organizzazioni sindacali, giusto un incontro informativo la sera prima del Consiglio dei ministri. Era necessario intervenire su questo tema con un decreto legge (che è uno strumento di urgenza) sottraendolo al confronto parlamentare e con le parti sociali?”.
“E perché intervenire in questo modo sul lavoro a termine? Certamente non regge la scusa che il mercato del lavoro fosse troppo irrigidito dalla disciplina del Decreto Dignità.
Prendendo in esame la nostra provincia, ricordiamo che nel 2022 si è registrato un buon dinamismo con un saldo positivo di attivazioni (+ 3951 secondo il rapporto dell’Osservatorio provinciale del mercato del lavoro) la cui gran parte, è bene ricordarlo, è stata però a termine. Lavoro a tempo determinato e somministrazione rappresentano il 70% delle assunzioni. Insomma, già la normativa precedente consentiva alle aziende di utilizzare ampiamente il contratto a termine. Sempre nel 2022 si è registrato poi un alto tasso di stabilizzazioni (14.375, nel 2021 erano state 7.444), ovvero di passaggi da lavoro a tempo determinato a indeterminato. Diversi sono i fattori che hanno portato al positivo boom di stabilizzazioni. Da un lato il buon andamento della produzione e dei fatturati in diversi settori, dall’altro il conseguente bisogno di personale e il termine delle deroghe al Decreto Dignità (deroghe in vigore durante i mesi della pandemia) che, come il rapporto provinciale suggerisce, può ‘aver contribuito a spostare le preferenze delle imprese dai contratti a termine a quelli a tempo indeterminato’. Va però aggiunto che diverse delle stabilizzazioni avvenute nel 2022, pur maturando in un andamento favorevole nella nostra provincia e nel ritorno alle regole del decreto dignità, sono state frutto anche dell’azione sindacale”.
“Ora il governo italiano sembra voler rispolverare la vecchia teoria secondo cui la crescita e la maggiore occupazione si ottengono flessibilizzando le regole del mercato del lavoro. Questa riforma nei fatti rende maggiormente precario il lavoro. A questo si aggiunge un’estensione dell’utilizzo dei voucher nel settore turistico e termale dove la soglia per gli utilizzatori viene innalzata da 10.000 a 15.000 euro e potranno essere utilizzati dalle realtà che occupano fino a 25 dipendenti a tempo indeterminato. Ricordiamo che chi lavora con i voucher non è coperto da tutele quali indennità di malattia, maternità e di disoccupazione. La qualità del lavoro, pur all’interno di necessità stagionali, dovrebbe essere rafforzata incentivando l’utilizzo di forme contrattuali che garantiscano le tutele”.
“I dati, dunque, mostrano che il contratto a termine viene già ampiamente utilizzato. I voucher aggiungono precarietà a precarietà. Al contrario, sarebbero servite politiche che invece incentivassero il lavoro stabile, strumento principale con cui le persone possono pianificare il loro futuro, comprare una casa, costruire una famiglia. Mancano quelle, come manca un’idea di politica industriale adeguata ai tempi. Così mentre il mondo si prepara alla transizione green, il nostro governo ha provato a rallentare in Europa il passaggio alle auto elettriche. Non solo, è alle prese con ritardi nell’attuazione del PNRR, determinate per la crescita sostenibile dei prossimi anni. Se la sfida da raccogliere è quella di investire in innovazione e sostenibilità, è necessario investire sulle persone. Ciò significa anche puntare sulla loro formazione e crescita professionale, immaginando un’occupazione di qualità. La via per la buona crescita, insomma, passa da politiche industriali di prospettiva, lavoro stabile e tutelato”.