Per finanziare Quota 103, Opzione donna e Ape sociale per il 2023 i milioni di euro stanziati dal nuovo esecutivo sono 726,4. Eppure le risorse che verranno effettivamente spese ammonteranno solo a poco più di un terzo: 274,3 milioni, con un risparmio di 452,1 milioni. È la stima dell’Osservatorio nazionale previdenza della CGIL e della Fondazione Di Vittorio, che hanno analizzato gli interventi sulle pensioni varati dal governo Meloni.
“Le ragioni di questo risparmio? Basta guardare le platee interessate dalle misure previste: complessivamente solo 25.615 lavoratori ne potranno usufruire in tutt’Italia, molti meno di quelli stimati dal governo nel Ddl Bilancio” riferisce Gianni Peracchi, segretario generale della CGIL di Bergamo. “Innanzitutto Quota 103 sarà davvero per pochi visto che, secondo la previsione della CGIL nazionale, consentirà l'uscita a 11.340 persone in tutto il Paese, di cui 9.355 lavoratori e appena 1.985 lavoratrici, rispetto alle 41.100 annunciate. Ancora meno persone usufruiranno di Opzione donna: solo 870 lavoratrici rispetto alle 2.900 previste, già poche in partenza. La modifica di Opzione donna si traduce in realtà in un’abrogazione dell’istituto, perché l’intervento è così radicale da determinare uno svuotamento della platea. Stesso trend per l’Ape sociale, di cui godranno 13.405 persone rispetto alla previsione di 20.000. Nel 2023 a fronte di quei 726,4 milioni previsti in manovra, poi, si sottraggono al sistema 3,7 miliardi tra taglio della rivalutazione delle pensioni in essere (-3,5 miliardi) e abrogazione del fondo per l'uscita anticipata nelle Pmi in crisi (-200 milioni). Se si considera il triennio, le mancate rivalutazioni ammonteranno a 17 miliardi”.
“Ecco perché il giudizio sulle scelte dell'esecutivo in materia previdenziale è per la CGIL nettamente negativo” conclude Peracchi. “Torniamo a chiedere una vera riforma del nostro impianto pensionistico, così come indicato nella piattaforma sindacale unitaria, attraverso l’uscita flessibile a partire dai 62 anni, il riconoscimento della diversa gravosità dei lavori, la pensione di garanzia per i giovani e per chi ha carriere discontinue e povere, il riconoscimento del lavoro di cura e della differenza di genere, l’uscita con 41 anni di contributi senza limiti di età”.