Sulle decisioni già prese o comunque annunciate e sugli indirizzi espressi dal nuovo esecutivo nelle prime due settimane di attività interviene Gianni Peracchi, segretario generale della CGIL di Bergamo.
“Abbiamo sostenuto da sempre che avremmo valutato le decisioni del nuovo governo sulla base delle nostre istanze e proposte elaborate unitariamente. Lo faremo, soprattutto, in merito alle questioni economiche e del lavoro che verranno affrontate nel Nadef prima e nella manovra di bilancio poi. Ma già ora, pur a pochissimo tempo dell’insediamento della compagine governativa al completo, sono state messe in campo alcune misure che non possono che essere contrastate.
La prima riguarda il tema degli assembramenti (il cosiddetto decreto anti rave) che a giudizio degli stessi ministri che l’hanno promosso nel primo Consiglio ora va rivisto. Le critiche di ordine sindacale e politico sono state suffragate da quelle di ordine giuridico-normativo che ne hanno messo a nudo l’arbitrarietà nella fase interpretativa e i rischi di coercizione della libertà di protesta (civile e pacifica, naturalmente).
La seconda, annunciata, è l’elevazione del tetto del contante (si è ventilata l’ipotesi fino a 10.000 euro), una misura che lancia un messaggio esplicito ed ammiccante a chi utilizza il nero come elemento di regolazione dei rapporti commerciali. Il rischio di vedere utilizzato questo allentamento del tetto dei contanti per pagare lavoro in nero è conclamato e cozza con le rivendicazioni sindacali per un lavoro giusto e di qualità e, più in generale, con la lotta all’evasione fiscale.
Il nuovo esecutivo non ha perso tempo nemmeno in tema di gestione dei flussi migratori, lasciando in mare tre navi di salvataggio con quasi mille persone in attesa di un porto di sbarco.
Ma quello che più infastidisce (è un eufemismo) degli indirizzi del governo è l’approccio alla campagna vaccinale e al contrasto alla crisi pandemica. Qui il messaggio dei condoni per chi aveva infranto le norme di sicurezza pubblica e il reintegro dei medici non vax è chiaro, così come è chiara la strumentalità delle dichiarazioni non veritiere di Meloni: l’Italia è stato il Paese con più morti e più restrizioni. Prendendo spunto da autorevoli fonti giornalistiche nazionali e locali, mi associo nel ricordare che il nostro Paese è stato quello che ha affrontato per primo e con efficacia la pandemia – il nostro modello è stato fonte di ispirazione per altri Paesi europei - e, per fortuna, il record di morti Covid non è certamente nostro, tanto meno le misure di contenimento più restrittive.
E questo nonostante durante la gestione dell’emergenza pandemica larga parte del centrodestra, ma non solo, avversasse metodicamente le politiche di restrizioni responsabili volte a garantire la salute della collettività, parlando alla pancia del mondo no vax e dei suoi satelliti per qualche consenso populista in più per sé.
Questo indispone – altro eufemismo – soprattutto in una provincia che è stata il baricentro dell’esplosione della pandemia e che ha lasciato sul campo, nella prima parte dell’emergenza, una moltitudine di morti e grande di dolore.
Ci siamo battuti, a Bergamo in modo particolare, in quei difficili frangenti a sostegno della sicurezza e delle misure di prevenzione, a sostegno della campagna di responsabilità e vaccinale, a sostegno della salute di tutti a partire dai più fragili, abbiamo contrastato gli attacchi violenti dei negazionisti alle nostre sedi. Ci siamo battuti per delle posizioni che hanno saputo contenere, fino ad oggi, la crisi sanitaria.
Lo abbiamo fatto allora, continueremo a farlo adesso”.