Anche a Bergamo la FILCAMS-CGIL, la categoria sindacale che tutela i lavoratori del settore del commercio, interviene in queste ore nel dibattito nazionale sulle aperture dei centri commerciali e dei supermercati durante i giorni festivi.
Sul territorio provinciale, infatti, sono diversi i punti vendita di grandi catene che hanno annunciato di restare aperti a Natale o il 26 dicembre. È il caso, ad esempio, di Iperal di Scanzorosciate, Treviolo, Carvico, Caravaggio e Presezzo (aperti a Natale e il 26), Eurospin di Bergamo (aperto a Natale), Iper di Seriate (aperto il 26 dicembre), più alcuni punti vendita Conad (il mattino del 25 dicembre-non tutti).
Sulla questione, ecco di seguito l’intervento di Mario Colleoni, segretario generale della FILCAMS-CGIL di Bergamo.
“Oggi più che mai è difficile comprendere come ad alcuni dipendenti della grande distribuzione non sia concessa una pausa nemmeno nelle giornate festive, dopo un anno e mezzo in prima linea, tra stress ed esposizione al contagio. Eppure ricordiamo che il Contratto nazionale di lavoro di riferimento non prevede l’obbligo alla prestazione festiva. Da tempo ribadiamo che la liberalizzazione selvaggia delle aperture domenicali e festive rappresenta uno stravolgimento del vivere sociale della nostra comunità, che -non dimentichiamo- dovrebbe essere basata anche sul valore delle festività. Da anni assistiamo nel commercio e nei servizi a orari e turni di lavoro sempre più frammentati e flessibili, con giorni di riposo che spesso variano settimanalmente. L’effetto di questo modello aumenta le difficoltà nel conciliare vita privata e lavoro. Passare del tempo di qualità con i propri figli e famigliari è sempre più difficile, così come avere del tempo per se stessi in una società dove sempre più servizi sono a pagamento e non sempre garantiti dal settore pubblico (l’esempio più evidente è quello degli asili nido). La società dei servizi h24, 7 giorni su 7, condiziona la progettualità di vita delle persone che lavorano la domenica, ma anche dei loro partner, delle famiglie e degli amici, dell’intera società. A partire dalla liberalizzazione degli orari dei negozi introdotta nel 2011 dal Decreto ‘Salva Italia’ sono stati eliminati vincoli e regole in materia di orari commerciali: lo si è fatto senza tenere conto delle conseguenze prodotte su milioni di lavoratori e lavoratrici, in un settore a prevalente occupazione femminile. Per come sono definite dal Decreto, le liberalizzazioni si sono dimostrate sbagliate, non hanno contribuito a stimolare la crescita del settore, non hanno creato nuova occupazione, hanno peggiorato la qualità della vita dei lavoratori. Hanno, inoltre, avuto effetti di dumping tra piccola e grande distribuzione, oltre a consegnare alla società un indirizzo culturale sbagliato, tendendo a privilegiare la funzione di disaggregazione operata dai centri commerciali, rispetto a quella aggregativa svolta da circoli sociali, culturali, piazze e oratori. L’Italia è l’unico paese europeo in cui vi sia una totale deregulation, mentre altrove esistono tutt’al più deroghe territoriali (ad esempio per le zone turistiche). Molti lavoratori sono appesantiti da questo anno e mezzo di pandemia, da un carico che singolarmente e come comunità portiamo. C’è grande stanchezza, ci sono idee diverse di mondo e di visioni dentro e fuori dai luoghi di lavoro. Questo ci deve oggi far ulteriormente riflettere rispetto al modello di società che vogliamo e, in essa, alla funzione del lavoratore. Non può essere solo quella di un cittadino flessibile privo di spazi di vita e riflessione. Riteniamo sia fondamentale istituire un tavolo a livello provinciale al fine di valutare e monitorare gli effetti delle aperture incontrastate su lavoratori, famiglie e imprese e sulla qualità dell'occupazione”.