Notizie

Natalità, famiglie, anziani, decessi: l’analisi CGIL e SPI-CGIL di Bergamo su alcuni indicatori demografici locali

Tempo di lettura: 3 - 5 minuti

Avere un quadro d’insieme sufficientemente circostanziato della mutazione del contesto sociale, economico e della struttura demografica della società nel nostro territorio può aiutare ad orientare le rivendicazioni che il sindacato intende porre ai decisori politici. Per questo la CGIL e lo SPI-CGIL di Bergamo hanno analizzato alcuni indicatori demografici locali, partendo dall’elaborazione di dati svolta, come di consueto, dalla società di ricerca Across-Concept. 
Qui il link alle tabelle riassuntive con la comparazione di alcuni degli indicatori e dell’indice di vecchiaia (over 65 su under 15, livello nazionale, regionale, provinciale e ambito territoriale).

“A balzare in primo luogo agli occhi è il fenomeno della denatalità che non accenna a diminuire: ogni anno che passa si fanno meno figli e le compensazioni con i saldi migratori non reggono il passo”, dichiarano Augusta Passera, segretaria generale dello SPI-CGIL provinciale, e Marco Toscano che guida la CGIL di Bergamo. “Ciò significa anche che si sta andando verso un sostanziale restringimento dei nuclei familiari e un incremento significativo delle famiglie unipersonali. Colpiscono dati come quello dell’ambito di Bergamo, dove il tasso di famiglie composte da una sola persona è al 43,7% (in città siamo al 46,2) oppure della valle Brembana (38,8%) o dell’alta valle Seriana (38,9%). Questo accade non solo per questioni economiche e sociali (difficoltà di avere un lavoro sicuro e sufficientemente retribuito in giovane età) ma anche per il mutare della cultura e dei costumi nella società. Preoccupa molto anche l’incremento nel corso degli anni dell’indice di vecchiaia (over 65 su under 15)”, proseguono i due sindacalisti. “Per quanto riguarda questa tendenza sarebbero necessarie alcune riflessioni, ad esempio, su nuovi servizi da erogare per il sostegno al benessere delle famiglie unipersonali. Va, in ogni caso, ridimensionata la retorica della famiglia tradizionale e vanno meglio ponderati i rischi di marginalità e fragilità correlati a questo fenomeno oltre che all’invecchiamento della popolazione, di quella dei grandi anziani in particolare”.

“Per non parlare del rischio di sostenibilità economica e sociale di fronte ad un restringimento della popolazione cosiddetta ‘produttiva’ e a un allargamento di quella più anziana. Anche i dati della nostra provincia sono eloquenti. Quella dell’inverno demografico è una dinamica molto seria per il nostro Paese, che rischia concretamente, nei prossimi decenni, di metterne in discussione la tenuta. Pensiamo al sistema pensionistico e all’assottigliarsi della distanza tra numero di lavoratori attivi e numero di pensionati. Una soluzione possibile in tempi relativamente brevi potrebbe essere quella dell’ampliamento della base contributiva attraverso un sostanziale incremento dei salari, ben sapendo delle resistenze quasi fisiologiche su questo fronte, e di una migliore valorizzazione delle potenzialità della terza età. Non si può certo immaginare di continuare ad agire soltanto sul differimento dell’età pensionabile e sulla diminuzione dei trattamenti pensionistici. Sarebbe inoltre necessario strutturare una seria politica di accoglienza e integrazione che, oltre ad essere un dovere etico, consentirebbe di sostenere la dinamica demografica del Paese. Ricordiamo, come riportato dalla stampa nazionale di recente, che il contributo al nostro PIL derivante dal lavoro di persone migranti presenti in Italia è stimato attorno al 9% (154 Mld). In termini di entrate nelle casse dello Stato – considerando solo Irpef e contributi – siamo a 29,2 Mld, contro spesa pubblica per servizi di welfare di 27,4 Mld, quindi un attivo di 1,8 miliardi”.

Anche il dato sulla mortalità – fanno notare Passera e Toscano - merita attenzione: “Soprattutto, se legato agli aspetti che hanno riguardato e che riguardano la pandemia, con la consapevolezza dello strisciante ritorno delle teorie negazioniste sui vaccini. Non compete certamente a noi produrre analisi dettagliate al riguardo, ma spetta agli organismi ed alle istituzioni preposte, ai servizi di prevenzione e di epidemiologia del sistema sanitario, al sistema universitario e della ricerca, ai servizi socio assistenziali dei Comuni sulla base di formule e schemi scientifici ben rodati. Diversamente rischieremmo di emulare i tuttologi che oggi vanno per la maggiore, gli espertissimi dei social o i nuovi illuminati che alimentano confusione, disinformazione e demagogia. Va detto che dopo il picco di mortalità del 2020 per il Covid, i numeri fortunatamente si sono ridotti molto grazie alle campagne vaccinali. Questo è valso soprattutto nel 2021, anche perché la comparazione con l’anno precedente risentiva di una comparazione effettivamente sfasata, mentre lo scorso anno l’incidenza dei decessi è sensibilmente risalita (dal 9,2% del 2019 al 10,6% del 2022). In questo caso bisogna tener conto della difficoltà degli ospedali a rimettersi in linea con le prestazioni sospese e i ritardi causati dalla pandemia. Ribadiamo però che le fonti a cui attingere per una analisi più precisa non possono che essere quelle scientifiche ed istituzionali. Il 2023, anche se gli ultimi dati Istat disponibili sono quelli di novembre per il livello regionale e ottobre per quello provinciale, vede al momento un ritorno, alla (diciamo) normalità pre-pandemica. In ogni caso è evidente il flop della previsione dei complottisti secondo cui deliranti teorie su microchip nei vaccini avrebbero eliminato ad oggi almeno metà della popolazione. La ricerca degli effetti del post Covid e del long Covid, la campagna vaccinale, una corretta e trasparente informazione devono, dunque riprendere vigore evitando che nell’opinione pubblica si confonda la cura con la malattia”.

Via Garibaldi, 3 - 24122 Bergamo (BG)

SOCIAL

LINK

Cerca