È stata la questione più che mai attuale dell’autonomia differenziata con i rischi, serissimi, contenuti nel Ddl Calderoli, al centro del tradizionale seminario di settembre organizzato venerdì 15 da CGIL e SPI-CGIL di Bergamo alla Malga Lunga di Sovere. Nel salone del Museo Rifugio della Resistenza, fra i boschi e i sentieri che furono dei partigiani, il sindacato provinciale ha accolto Christian Ferrari, segretario nazionale della CGIL.
L’iniziativa è stata una delle tappe de “La via Maestra, insieme per la Costituzione”, la mobilitazione promossa dalla CGIL in tutta la penisola, insieme a molte altre associazioni. Si tratta di una campagna straordinaria di assemblee nei luoghi di lavoro e nei territori di tutta Italia in vista della manifestazione a Roma il prossimo 7 ottobre.
“Quello dell’autonomia differenziata è un tema che ha una storia lunga, iniziata nel 2001 con la riforma del titolo V Costituzione e dell’art. 116 e che oggi ci vede alle prese con il Ddl Calderoli, in discussione alla Commissione Affari Costituzionali del Senato. Un testo che ha l’obiettivo di ‘regolare’ quanto previsto dall’art. 116 e in particolare l’attribuzione di forme di autonomia su determinate materie con legge dello Stato e su richiesta delle Regioni” ha spiegato, introducendo i lavori del seminario, Marco Toscano, segretario generale della CGIL di Bergamo. “Un Ddl che presenta molte criticità, a partire dal ruolo che finirebbe con l’assumere il Parlamento, rischiando di poter esprimere soltanto atti di indirizzo e pareri non vincolanti. Altro nodo è quello del meccanismo di finanziamento, rilievo mosso anche dalla Banca d’Italia su possibili diseconomie. Non ci sarebbe, poi, alcun meccanismo di giudizio né valutazione sulle funzioni richieste dalle Regioni, considerato un bene in sé. (...) A nessuno sarebbe utile uno scenario con normative diverse, ad esempio su trasporti e scuola” ha proseguito Toscano. “Anche per quanto riguarda la dimensione del lavoro, una frammentazione di regolamentazione tra le Regioni rischia da un lato di rendere complessa la gestione per quelle aziende che insistono su più territori regionali, dall’altro di ostacolare la mobilità geografica per quelle professioni che prevedono abilitazioni o certificazioni”.
Con un efficace inquadramento politico della questione, ha avviato il proprio intervento il segretario nazionale Ferrari: “Quella che stiamo portando nelle assemblee in giro per l’Italia, da nord a sud, è la convinzione che l’architettura costituzionale dello Stato, compreso il Ddl Calderoli, non sia affatto un tema da addetti ai lavori, ma una questione che riguarda la visione stessa del futuro del nostro Paese e del suo modello sociale e di sviluppo, oltre che istituzionale in senso stretto. Abbiamo anche la consapevolezza che siamo di fronte a un’offensiva politica e culturale che rappresenta un pericolo che non ha molti precedenti negli ultimi decenni. Noi riteniamo che il combinato (tutt’altro che contraddittorio) disposto tra autonomia differenziata e presidenzialismo, perché questo ormai è il punto di sintesi e caduta degli equilibri del centro-destra, esprima una visione ben precisa di Paese. Se mai fosse realizzata, rappresenterebbe il superamento definitivo del nostro modello di welfare pubblico universalistico, quello scritto nella nostra Costituzione, e rappresenterebbe il superamento della nostra Repubblica parlamentare, disegnata ugualmente dalla Carta Costituzionale. Noi non vogliamo né possiamo permettere questo stravolgimento. Ci batteremo in tutte le sedi democratiche per contrastare questo disegno”.
Il Veneto è stata Regione capofila a spingere per l’autonomia, oggi propugnando la devoluzione in via esclusiva di tutte e 23 le competenze possibili che passerebbero così dal livello statale a quello regionale. “A fronte di questa richiesta del Veneto, che è la mia regione - e in parte – della Lombardia, ci chiediamo: se tutte le Regioni d’Italia chiedessero ugualmente la devoluzione di tutte le materie, cosa rimarrebbe della Repubblica italiana? Assolutamente nulla. Questa non è l’applicazione della Costituzione, ma un’interpretazione eversiva dell’articolo 116 comma terzo della Carta costituzionale” ha proseguito il dirigente nazionale.
“Parliamo dei contenuti, allora, entrando nel merito di alcune di queste materie: partiamo dall’istruzione” ha detto Ferrari. “Noi ci opponiamo fermamente a qualsiasi ipotesi di regionalizzazione della scuola, che è un tema oggi seriamente sul piatto. Significherebbe infliggere un colpo mortale alla stessa identità culturale del Paese, e alla fine della sua memoria. Vorrebbe dire applicare alla scuola il modello delle Asl, la nomina politica dei dirigenti, la scelta degli insegnanti, addirittura magari dei programmi scolastici. È un pericolo”.
“Si pensi poi alle politiche energetiche, alle reti di infrastrutture, a porti e aeroporti, ad ambiente e ricerca scientifica, come si può pensare di gestire questi capitoli solo localmente? Riconoscere alle Regioni una competenza esclusiva su queste materie, sottraendola totalmente allo Stato, significherebbe rinunciare, ad esempio, anche a un governo unitario nazionale delle politiche economiche, industriali e di sviluppo, in un momento in cui, per affrontare le sfide globali, non basta nemmeno la dimensione nazionale. Dovremmo andare nella direzione opposta, spingere per una maggiore integrazione europea, altro che sbriciolamento e ripiegamento a livello regionale su queste partite. Di questi rischi, tra l’altro, dovrebbero essere ben consapevoli i sistemi industriale e imprenditoriale, compresi quelli del settentrione. Come si può immaginare la frammentazione in 21 micro-territori di norme, discipline e regolamenti su tutte queste materie? Sarebbe insostenibile per un operatore economico”.
“Ora, il punto è che la presunzione assoluta di maggiore efficienza e qualità del governo e della gestione a livello regionale rispetto al livello nazionale è qualcosa di indimostrato e francamente indimostrabile” ha aggiunto Ferrari. “Si pensi alla sanità, già oggi attribuita alle Regioni. E si pensi al delirio della pandemia, all’incapacità, coperta dalla propaganda, delle Regioni che non sono state in grado di gestire l’emergenza nemmeno nel loro territorio. Ma si consideri anche il tema della sicurezza sul lavoro: la gestione a livello regionale ad esempio delle funzioni di vigilanza (penso alle ASL / ATS) come sta andando? In Veneto non abbiamo nemmeno più gli ispettori. Le Regioni stanno investendo o facendo assunzioni? Lombardia e Veneto sono sempre in cima alla lista per il triste primato delle stragi sul lavoro. Allora, esiste davvero questa presunta efficienza delle Regioni?”.