Il confronto parlamentare sul salario minimo legale – di cui tanto si è dibattuto nelle ultime settimane – slitta dunque verso l’autunno. Il 3 agosto l'Aula della Camera ha approvato la questione sospensiva della maggioranza volta a sospendere l'esame della proposta di legge dell'opposizione per un periodo di sessanta giorni.
Sull’introduzione di questo strumento anche in Italia interviene Marco Toscano, segretario generale della CGIL di Bergamo.
"L’innalzamento dei salari è una priorità del nostro Paese. L’impennata inflattiva iniziata nel 2022 sta prepotentemente erodendo il potere di acquisto e la fascia di lavoratori a rischio povertà si è ampliata. A partire da questo scenario nell’ultimo periodo è tornata in tutta la sua attualità la riflessione sul salario minimo e su come questo si possa incrociare con la contrattazione collettiva. Ulteriore spinta al dibattito è arrivata dalla formulazione della proposta di legge di PD, Movimento Cinque Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra, Azione e +Europa”.
“L’Italia non ha, ad oggi, un salario minimo stabilito dalla legge, i minimi salariali sono infatti fissati nei contratti nazionali di lavoro. Va precisato che nel nostro Paese la contrattazione nazionale ha un alto livello di copertura, attorno al 97%. Del resto la direttiva europea sul salario minimo dello scorso ottobre non obbliga gli Stati della Comunità a prevederne l'introduzione per legge. L'Europa invita a sostenere la contrattazione collettiva e ad estenderla negli Stati in cui il tasso di copertura sia sotto l'80%. In quei Paesi in cui invece è la legge a prevedere il salario minimo, l'indicazione di Bruxelles è il coinvolgimento delle parti sociali nel definirne i criteri di adeguamento”.
“L’attuale proposta di legge avanzata dalle opposizioni non punta a introdurre nel nostro Paese un salario minimo per legge a cui le aziende dovrebbero attenersi (da cui la temuta fuga dai CCNL per applicare il minimo previsto legalmente), ma a far sì che la legge ponga una base minima alla contrattazione collettiva nella definizione del Trattamento Economico Minimo (TEM). L’art. 2 della proposta dice infatti: ‘Il trattamento economico minimo orario come definito dal contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) non può comunque essere inferiore a 9 euro lordi’. Non solo, la proposta stabilisce che il TEC (Trattamento Economico Complessivo) ‘non può essere inferiore a quello previsto (…) dal CCNL stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria merceologico-produttiva interessata’. Il CCNL resta, settore per settore, il punto di riferimento della regolazione dei rapporti di lavoro sia sul versante salariale che normativo”.
“Al 31 dicembre 2022 risultavano depositati al CNEL 1053 contratti collettivi nazionali di lavoro. Di questi sono 959 quelli del settore privato di cui 211 sottoscritti da CGIL, CISL e UIL (fonte: elaborazione Fondazione Di Vittorio su dati CNEL)” prosegue Toscano. “La proliferazione di contratti siglati da altre organizzazioni sindacali è esplosa nell’ultimo decennio e ha, nei fatti, determinato meccanismi di dumping salariale. Per questo, un intervento che preveda una base minima oraria per la contrattazione e il rimando alla stessa per il trattamento economico complessivo dovrebbe completarsi con un richiamo all’attuazione dell’art. 39 della Costituzione, ovvero all’introduzione di una legge sulla rappresentanza. Il rischio è altrimenti che le dinamiche di dumping contrattuale scivolino dalla parte economica a quella normativa”.
“L’attuale proposta di legge non credo rappresenti quindi un pericolo per la contrattazione nazionale, anzi la richiama e sostiene in più punti e in questo è in linea con i principi della direttiva europea. D’altro canto, arrivare finalmente a una legge sulla rappresentanza sostanzierebbe un intervento normativo di maggiore completezza. I CCNL sottoscritti dalle organizzazioni più rappresentative, infatti, potrebbero avere un’estensione erga omnes mettendo fine a qualsiasi dinamica di concorrenza al ribasso”.
La CGIL provinciale ha provato, infine, a interrogare alcuni dati raccolti “in casa”. La proposta di legge avanzata parla di 9 euro per la definizione del TEM, ovvero il Trattamento Economico Minimo, i “minimi tabellari”. Se, a titolo di esempio, prendiamo in considerazione contratti del settore privato con divisore orario pari a 173 (parametro attraverso cui dalla paga mensile si arriva a quella oraria) parliamo di redditi annui, al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali, di poco più di 20.000 euro.
“Abbiamo chiesto al CAAF CGIL un’estrazione dati ed è emerso che, nella platea di coloro che hanno fatto dichiarazioni dei redditi presso i nostri sportelli, i lavoratori full time con un imponibile fiscale fino a 19.000 euro (importo al netto dei contributi sociali a carico dei lavoratori) sono in Lombardia 57.831 ovvero il 15% del totale del campione. Questa stima è inoltre da considerare prudenziale visto che la dichiarazione dei redditi non fotografa solo il Trattamento Economico Minimo (TEM). Questo spaccato serve però a dare una dimensione, seppure indicativa, dell’innalzamento che un’asticella posta a 9 euro potrebbe determinare”.