Con la loro mobilitazione, i lavoratori hanno ottenuto un primo, importante, risultato: per i 130 rimasti alle dipendenze della Fondazione Casa Serena onlus di Brembate Sopra si allontana di qualche mese il previsto e temuto passaggio a una cooperativa, che invece era stato annunciato come operativo a partire dal 1° giugno.
“Senza che ci sia stata fornita alcuna comunicazione ufficiale né che siano arrivate convocazioni per un incontro, la Fondazione non ha proceduto con l’esternalizzazione che era stata annunciata a febbraio e che era prevista a partire da giugno” hanno dichiarato Ingalill Nordli di FP-CGIL, Caterina Dezio e Giovanna Bettoni di CISL-FP di Bergamo. “Da interlocuzioni informali con i lavoratori sappiamo che resta immutata l’intenzione di cedere i dipendenti a una cooperativa, ma che l’operazione sarebbe posticipata all’autunno. Evidentemente i due presidi di protesta che si sono svolti a maggio e a inizio giugno, quando i lavoratori hanno manifestato la forte contrarietà al passaggio, devono avere rallentato i tempi. Speriamo che la Fondazione torni sui suoi passi in maniera definitiva. Intanto, la mobilitazione continua”.
I lavoratori non si danno, infatti, per vinti, e questa settimana, venerdì 23 giugno (dalle ore 13 alle 15), tornano per la terza volta in presidio di fronte all’ingresso della sede di via Giovanni XXIII a Brembate. Una iniziale protesta ai cancelli si era svolta lo scorso 26 maggio (foto). Dieci giorni prima, il 16 maggio, un confronto fra le parti in Prefettura si era concluso con un mancato accordo. Un secondo presidio si era poi svolto il 9 giugno.
La Fondazione intende cedere a una cooperativa tutte le proprie mansioni socio-assistenziali, dalle cure quotidiane in RSA, alle cure primarie presso il nucleo Alzheimer, ai servizi sul territorio di RSA Aperta, alla SAD, all’UCP-DOM (cure palliative) e agli ambulatori fisioterapici.
“La direzione della Fondazione ha motivato l’esternalizzazione con l’urgente necessità di ristrutturazione dell’edificio e con la costruzione ex novo di una palazzina all’interno del Parco adiacente” sono tornate a spiegare le tre sindacaliste. “Questi interventi sono stati definiti troppo onerosi per la RSA per la quale, a seguito della cessione del personale, sarebbe più facile accedere ai finanziamenti necessari per la realizzazione delle opere (almeno secondo la direzione). Al momento però non ci risulta che la Fondazione sia in possesso delle autorizzazioni necessarie per essere vicina all’inizio dei lavori. All’interno della struttura sono molte le figure professionali della cura e dell’assistenza che svolgono per il territorio locale una preziosa funzione: persone che hanno sempre dato il meglio in condizioni spesso proibitive e con sempre meno risorse, sia fisiche e soprattutto economiche. Nessuna delle 130 persone soggette alla cessione (erano 140, ma alcuni lavoratori se ne sono già andati) in appalto se lo merita”.
“Se nelle case di riposo della provincia già esistono differenze contrattuali tra lavoratori assunti quando le RSA erano enti pubblici e quelli poi entrati in organico dopo il 2003 con la riforma regionale che ne ha prevista la privatizzazione, ora il rischio è che ci si trovi di fronte a una terza categoria di dipendenti, dalle condizioni lavorative ulteriormente peggiorate” aggiungono le tre sindacaliste. “Se pure – come sembra - gli attuali dipendenti vedranno garantite le medesime condizioni contrattuali del passato, sia normative che economiche, la nostra preoccupazione è anche per coloro che saranno assunti in futuro e, più in generale, sulla tenuta di un comparto che sembra guardare all’esternalizzazione come alla via sempre più frequentemente da imboccare per risolvere i problemi di costi”.