Si vive e si lavora accompagnati da “uno stato di affaticamento e spesso anche di frustrazione, e malgrado permanga il desiderio di provare ad aiutare i nostri pazienti, la preoccupazione è sempre più rivolta alla sicurezza, fondamentale per me, i miei colleghi e per chi è ricoverato”. A far sentire la propria voce dal reparto di psichiatria dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è un’infermiera e delegata della FP-CGIL, Paola Acerbis. Lo fa in occasione dell’assemblea nazionale dei lavoratori di quel delicato settore che si occupa quotidianamente dei servizi di sanità mentale.
L'aggressione mortale contro una psichiatra avvenuta ad aprile all'ospedale Santa Chiara di Pisa ha riportato al centro della discussione il tema della sicurezza e ha messo in luce un malessere che tra i lavoratori è concreto.
“Da gennaio a fine maggio nel reparto di psichiatria dell’ospedale Papa Giovanni XXIII abbiamo contato 6 aggressioni, un numero alto rispetto al passato”, racconta Paola Acerbis.
Nel reparto con lei lavorano altri 51 colleghi. Per la maggior parte si tratta di donne. “Molti accorgimenti migliorativi sono stati adottati dopo la triste vicenda dell’incendio che era costato la vita a una giovanissima paziente nell’agosto del 2019, una tragedia che aveva traumatizzato parecchi di noi, e a seguito della quale avevano lasciato il reparto circa 20 lavoratori” spiega l’infermiera. “Successivamente ne erano arrivati 28 nuovi. Il turn over dunque è stato elevato con le conseguenze del caso, visto che occorre un certo lasso di tempo per ambientarsi a chi proviene da fuori”.
I locali del terzo piano, infatti, sono stati sottoposti ad ammodernamento del sistema di videocamere per la sorveglianza, anche ad infrarossi. "Una novità indubbiamente positiva ed efficace. Al quarto piano, però, il sistema è rimasto quello vecchio” puntualizza Acerbis. “In materia di sicurezza, abbiamo seguito percorsi di formazione secondo il cosiddetto modello Bolzano, in cui si prevedono tecniche di de-escalation della tensione, come il mantenimento della distanza e l’uso del corretto tono di voce. A volte, però, non basta”.
La lavoratrice riferisce, infatti, di un reparto di psichiatria “considerevolmente cambiato negli ultimi tempi, con patologie diverse rispetto al passato. I casi di pazienti bipolari e schizofrenici hanno ceduto il passo a quelli affetti da varie dipendenze e da disturbi della personalità, per i quali l’approccio è differente. E se prima avevamo a che fare con persone con una sola patologia, ora i pazienti hanno di frequente doppie diagnosi”.
A questa sensibile trasformazione e alle difficoltà che porta con sé, si aggiungono poi le condizioni non ottimali dei servizi sanitario e sociale a disposizione: “La rete territoriale è infatti depauperata, quella ospedaliera è in affaticamento. Sentiamo una difficoltà concreta nel ricollocare i pazienti entro strutture territoriali e comunità, una volta in grado di lasciare il nostro reparto. I posti disponibili all’esterno sono limitati. Da noi dovrebbero restare casi in condizioni acute, mentre assistiamo a ricoveri che si prolungano per mesi, e che per questo – anche per le ovvie condizioni rigide di permanenza in un reparto di psichiatria - fanno accumulare frustrazione e alti livelli di stress, dannosi per i pazienti e pericolosi per noi. E infatti nell’ultimo periodo registriamo un aumento delle aggressioni”.
La questione non è di semplice soluzione, e certo richiede un approccio complesso e molteplice. “Allentare la tensione dentro il reparto aiuterebbe molto, ad esempio spostando i locali al piano terra e permettendo ai colleghi che accompagnano nell’area verde i pazienti di essere vicini alla corsia, nel caso di un’emergenza. Utile è anche l’apporto dei sorveglianti, che però talvolta non sono presenti perché impegnati in altri reparti e in pronto soccorso”.
Nel novero dei pazienti che contribuiscono a creare circostanze di insicurezza e tensione, fra l’altro, ci sono anche quelli con misure cautelari e in attesa di fare ingresso in comunità ad alta sicurezza o Rems (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza).
“Dal punto di vista del rapporto paziente-operatore e dunque degli organici siamo in regola con i parametri stabiliti dalle tabelle regionali, ma proprio la grande molteplicità dei casi, tanto diversi da richiedere approcci differenti, ha complicato e reso sempre più insicuro questo lavoro” aggiunge l’infermiera.
Da tempo la FP-CGIL, a livello nazionale, tiene monitorate le condizioni dei lavoratori dei servizi di salute mentale. Anche per questo, per ascoltare le voci dei propri iscritti lavoratori e dei delegati, il 1° giugno ha organizzato un evento online.
“Il problema viene soprattutto dalle regole di sistema. Ad oggi il territorio non ha le risorse per accogliere e gestire questi tipi di utenza e perciò assistiamo a fenomeni per i quali un servizio di acuzie come il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) di un ospedale si trasforma di fatto in una degenza" dichiara Giorgio Locatelli, segretario generale della FP-CGIL di Bergamo. "Non dimentichiamo inoltre che i servizi sul territorio, spesso gestiti da cooperative sociali di professionisti, fanno altrettanta fatica a gestire volumi e tipologie di pazienti o utenti come quelli che vengono loro scaricati addosso dai servizi, creando un cortocircuito la cui prima vittima è l'utente stesso e in seconda istanza le lavoratrici e i lavoratori che lo dovranno gestire. La nostra attenzione al tema è sempre stata e sempre rimarrà alta. In ballo ci sono la salute e la sicurezza di persone fragili, dei nostri lavoratori e delle nostre lavoratrici".