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Alternanza scuola-lavoro, la sicurezza dei ragazzi è possibile (se lo strumento è usato bene). Testimonianza e proposte CGIL

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È davvero possibile realizzare un’Alternanza-scuola lavoro utile ai ragazzi e in cui nessuno rischi di farsi male? Per Fabio Cubito della FLC-CGIL di Bergamo e Angelo Chiari della segreteria della Camera del lavoro provinciale la risposta è sì, “a patto che si cambi il modo di gestire lo strumento”.
Mentre volge al termine un anno nero per la sicurezza in Italia con tre studenti morti durante uno stage, il sindacato torna sulla questione dell’Alternanza scuola-lavoro resa obbligatoria negli ultimi tre anni delle scuole superiori, licei compresi, dalla legge 107 del 2015.

In provincia di Bergamo sono coinvolti più di 30mila ragazzi e ragazze. Il percorso è rilevante: la quota minima obbligatoria, infatti, ammonta a 90 ore nel triennio finale per i licei, a 150 ore per gli istituti tecnici e a 210 per gli istituti professionali.

“Prima di allora esistevano solo tirocini con percorsi formativi ad hoc, un’esperienza lasciata alla buona volontà dei singoli istituti” spiega Fabio Cubito, segretario generale del sindacato scuola della CGIL di Bergamo, che personalmente conta su tredici anni di esperienza diretta nel campo degli stage, quando insegnava a scuola. Dal 2003 al 2016, infatti è stato referente dei tirocini poi tutor scolastico in diversi istituti superiori della Valle Seriana.

“Mi occupavo di cercare aziende idonee per gli alunni che partecipavano ai progetti, un attento lavoro di selezione sulla base delle attitudini e delle competenze di ciascun partecipante, tenendo conto delle opportunità che il territorio offriva” spiega Cubito. “Credevo in questo strumento, e ci credo ancora. Alle aziende chiarivo subito che quei ragazzi non erano forza lavoro gratis e che era necessario seguirli, e tutelare in primo luogo la loro sicurezza. Mi è capitato, in alcuni casi, di interrompere il progetto perché l’azienda di turno non attuava misure adeguate, magari mandando il ragazzo nei cantieri senza le scarpe idonee, oppure facendogli passare intere giornate a pulire magazzini. Settimanalmente facevo il giro dei diversi posti di lavoro per capire se ci fossero problemi, e restavo in stretto contatto con i ragazzi per verificare con loro la realizzazione dei percorsi formativi. Negli anni, mi sono costruito una black list di aziende a cui non era opportuno mandare ragazzi. Un lavoro a dir poco certosino, che oggi, nelle condizioni attuali, sarebbe difficile da realizzare”.

La novità introdotta dalla legge del 2015, infatti, è l’obbligatorietà dell’Alternanza per tutti: “Il processo di selezione delle aziende è a quel punto diventato massivo e poco gestibile. E invece si dovrebbe trattare di un vaglio da realizzare in maniera capillare, per cui occorre, a scuola, personale dotato di ore settimanali da dedicarvi” prosegue Cubito, che tiene poi a sottolineare un aspetto importante della questione: “Dall’esperienza che ho avuto, da ciò che ho potuto vedere direttamente, fare Alternanza non è per nulla legato al fatto che un ragazzo, uscito da scuola, debba poi andare a lavorare immediatamente in azienda. Un periodo a contatto con il mondo del lavoro fa, infatti, capire ai ragazzi cosa significhi svolgere una mansione lavorativa, spesso fisica e pesante. Ho visto diversi studenti decidere di proseguire gli studi proprio dopo l’Alternanza”.

“Non si confonda uno strumento che secondo noi può essere ancora utile, con la cattiva gestione che se ne è fatta” interviene Angelo Chiari, per la segreteria provinciale della CGIL responsabile delle politiche per la Sicurezza e la Salute nei posti di lavoro. “Le modifiche normative in materia hanno peggiorato la possibilità di realizzare un efficace e sicuro percorso formativo. L’introduzione dell’obbligatorietà per tutte le scuole e per tutti i ragazzi ha avuto come conseguenza un abbassamento del livello della proposta: occorre per forza fare Alternanza – si dicono gli istituti scolastici – e occorre trovare un posto per tutti. Così salta, però, l’attenta selezione del posto giusto e sicuro in cui mandare gli studenti. Nessuna ambiguità deve esistere, poi, sul reale spirito del progetto: l’azienda non deve pensare di avere manodopera in nero o gratis per fare produzione. Lo studente non va sfruttato, ma va accolto, formato, fatto muovere in sicurezza e seguito nella sua temporanea scoperta di un mondo che gli è estraneo”.

Ecco dunque le proposte della CGIL di Bergamo sulla gestione dell’Alternanza scuola-lavoro:
- le aziende coinvolte dovrebbero essere selezionate seguendo criteri specifici: innanzitutto tenendo conto dell’utilizzo di sistemi di gestione della sicurezza certificati e di particolare qualità (UNI ISO 45001) e consultando l’indice infortuni (nelle realtà in cui si verificano infortuni ripetuti non si invii nessun ragazzo);
- sul territorio si dovrebbero compilare black list della aziende che si sono rivelate non idonee ad accogliere i ragazzi. La lista potrebbe venire aggiornata di anno in anno – a seconda delle segnalazioni delle scuole - presso l’ufficio scolastico territoriale;
- il tutor aziendale non dovrebbe mai essere il titolare della azienda. Si scelga, invece, una persona formata per quel ruolo e consapevole della responsabilità che ne consegue. Oppure si istituisca la figura del tutor esterno territoriale, che potrebbe fare capo ai servizi della Provincia di Bergamo che si occupano di istruzione, formazione e lavoro;
- i docenti coinvolti nella gestione del processo formativo in alternanza dovrebbero essere valorizzati e motivati, permettendo loro di svolgere un lavoro capillare, prevedendo un monte ore dedicato e adeguato (compreso nell’orario di lavoro, oppure in caso contrario retribuito a dovere).

Via Garibaldi, 3 - 24122 Bergamo (BG)

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